A quel punto, però, sarà probabilmente il caso di scendere dall'autobus di questo rialzo decennale e sedersi in panchina, magari per aspettare l'autobus successivo. Non per pessimismo cosmico, ma per la semplice considerazione che,
per il 2019 e per la prima metà del 2020, le possibilità di ulteriori rialzi saranno modeste, mentre quelle di correzioni anche più ampie di quelle che abbiamo visto quest'anno, saranno più alte.
Se i dieci anni passati sono stati il trionfo del buy and hold, i prossimi due, anche in assenza di recessione, andranno giocati in modo più tattico. Per dirla semplicemente,
per approfittare delle correzioni più che prevedibili bisognerà avere liquidità impiegabile e, per averla, bisognerà avere venduto prima.
Le ragioni per possibili correzioni non mancano di certo. La
Fed alzerà i tassi almeno altre tre volte e i mercati non sono pronti a questo esito e tanto meno lo sono in caso di rialzi ancora più numerosi. La
Bce abbandonerà il Qe pur in presenza di una crescita europea insoddisfacente. La
Cina dovrà fronteggiare i dazi. Le politiche fiscali non saranno più espansive (se non forse in Cina). La crescita americana verosimilmente rallenterà. La grande marea di liquidità creata in questi anni dalle banche centrali e che nel 2018 si è stabilizzata (creando già qualche problema) nel 2019 comincerà a ridursi. Ripetiamo, nessuno di questi fattori, nemmeno se considerati tutti insieme, comporta necessariamente un bear market pesante, ma la possibilità di una o più correzioni da 10-15 per cento non può essere negata nemmeno dall'ottimista più convinto.
L'alternativa è non fare nulla, dare spazio al mercato di correggersi e aspettare la ripresa del prossimo decennio. Il rischio, in questa scelta, è quello di vedere prima o poi prezzi più bassi, spaventarsi e vendere sotto i buoni livelli che raggiungeremo nelle prossime settimane. Meglio dunque essere proattivi e anticipatori.
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