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Trent'anni dopo

Miti e realtà sui paesi emergenti


A questo va aggiunta la demografia, fino ad oggi largamente favorevole per gli emergenti ma fra poco negativa e in certi casi francamente preoccupante. Si pensi alla Cina e all'invecchiamento velocissimo della sua popolazione, che a fine secolo sarà di 400 milioni più bassa di oggi. A parte l'Africa e, ancora per qualche tempo, l'India, il resto del mondo emergente sarà presto a crescita demografica zero.

Quanto alla stabilità politica, va ricordato che si accompagna generalmente alla crescita. Meno crescita significa erosione del consenso e disponibilità a tentare strade non ortodosse e più rischiose.

Guardando ai singoli casi, alcuni, come il Venezuela, si sono persi per strada, ma sono casi circoscritti. Preoccupano di più quelli che fanno sempre più fatica a stare a galla, come il Sud Africa o la Nigeria. Ci sono poi quelli che hanno ripreso a crescere infinitamente meno di quello che potrebbero, come il Brasile e l'Argentina. O quelli che se la cavano dignitosamente, come la Russia, ma rassegnati a un ruolo di monocoltura mineraria.

Qualcuno, come l'Egitto e forse il Ghana, si è risollevato. Altri, soprattutto in Africa orientale (Etiopia, Kenya, Uganda, Rwanda, Tanzania) mantengono una buona andatura ma cominciano ad avere livelli di debito che li espongono a rischi nella prossima recessione. Turchia e Messico sono borderline. Bene India, Indonesia e Vietnam, fragile come sempre il Pakistan.

E poi, ovviamente, c'è la Cina, ancora forte e ambiziosa, ma avviata verso una fase difficile e opaca in cui dovrà affrontare il restringimento dei mercati internazionali, la sfida di dovere produrre innovazione da sola, una demografia negativa e un'America diffidente e ostile.

Come si vede, è e resterà un quadro differenziato. Gli emergenti come tali non esistono più se non in Africa, l'area che suggeriamo di seguire con particolare attenzione. A fine secolo metà della popolazione mondiale sarà in Africa, così come la maggior parte delle risorse minerarie del pianeta. Se nel mondo ci sarà crescita, sarà qui.

Venendo all'immediato, il meltup azionario è rimandato un'altra volta. Quando si parla di meltup si parla del migliore dei mondi possibili ma questo, per definizione, può solo essere peggiorato. E così basta qualche delusione sugli utili di qualche banca o di qualche tecnologico per spiazzare chi si è allungato troppo nelle ultime settimane. Anche il clima di né pace né guerra tra Stati Uniti e Cina non è di particolare aiuto.

Alla fine non saranno comunque questi i fattori decisivi. A contare sarà la crescita. Non occorre che sia brillante, basta che sia decente. Al resto penseranno le banche centrali, abbassando i tassi, alzando gli obiettivi d'inflazione (fra poco anche in Europa) e riprendendo il Qe. Per questo restiamo investiti.
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