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Dopo la bufera

Che mondo ci aspetta là fuori


Recuperata la dimensione del futuro, tuttavia, dobbiamo anche sapere guardare quello che ci attende con occhi obiettivi. La pandemia è ancora in fase ascendente in molti paesi emergenti, che hanno certamente una popolazione più giovane ma anche, in molti casi, gravi carenze sanitarie. In Europa e in America è iniziata una fase di plateau, non ancora di discesa generalizzata. Paesi come il Giappone, che hanno finora evitato la crisi, non possono essere per questo dichiarati fuori pericolo. In mancanza di cure comprovate e di mappature generalizzate, i governi manterranno il lockdown per un altro mese e lo allenteranno solo gradualmente. Il fatto che si stia considerando la cancellazione dell'Oktoberfest, per la prima volta dal 1813, mostra quanto in là si potrebbero protrarre gli effetti diretti della crisi, per non parlare della minore propensione a consumare e a investire che shock di questo tipo lasciano per qualche tempo.

Chi investe deve distinguere, più che nelle crisi passate, tra la realtà vista dall'alto e quella vista dal basso. Dall'alto, economisti e strategist insisteranno sulla ripresa complessiva del sistema e dei mercati finanziari se non per quest'anno, certamente per l'anno prossimo. Indicheranno la natura una tantum dello shock, le politiche fiscali e monetarie ultraespansive e la pioggia di trilioni di aiuti diretti di sostegno.

Dal basso sarà però ben visibile una realtà fatta di larghe zone di devastazione economica e di distruzione di ricchezza. L'azienda X e il paese emergente Y saranno molto probabilmente di nuovo in piedi l'anno prossimo, come dicono economisti e strategist, ma l'azienda X potrebbe essere stata nel frattempo nazionalizzata (o avere dovuto ricorrere a un aumento di capitale molto diluitivo) mentre il paese emergente Y potrebbe avere ristrutturato il suo debito. Le perdite per azionisti e obbligazionisti, in questi casi, non saranno visibili negli indici ma lo saranno certamente nei portafogli. E saranno irreversibili.

Oltre alla selettività va raccomandata la prudenza. L'indice SP a 2800 si trova a oggi a un livello che avrebbe potuto essere considerato ragionevole prima della crisi, una volta eliminata la schiuma speculativa del Fomo (la paura di perdere il rialzo). Dà da pensare trovarcisi oggi con un dieci per cento di Pil in meno in molti paesi per il 2020, con disavanzi pubblici del 10-15 per cento, con le filiere produttive inceppate, con utili falcidiati, con i buyback trasformati (non sempre a torto, va detto) nel nuovo mostro da combattere e con settori come il petrolio e il turismo in modalità di pura sopravvivenza. Certo, abbiamo la garanzia di fatto di tassi a zero per tutto il futuro prevedibile e il crollo di tabù fiscali e monetari che già avevano iniziato a sgretolarsi sul piano intellettuale negli ultimi tempi. Neanche questo è poco.

Gli anni Venti già si profilavano con la MMT al centro del sistema e con grandi ristrutturazioni del debito alla sua periferia. Alle stelle i salvati, all'inferno i perduti. L'epidemia, più che trasformare il mondo, ne accelera fortemente le dinamiche preesistenti e pone immediatamente ai gestori la sfida che si poteva ancora immaginare collocata in un prossimo ma vago futuro. Se il mondo di ieri vedeva la grande onda che alzava tutti i navigli, il mondo che si sta formando vede un'onda ancora più alta per alcuni e una serie di naufragi per altri.

In pratica, per chi è già investito da prima della crisi si tratta, più che di comprare o vendere, di verificare che nei portafogli ci siano solo titoli che attraverseranno la crisi con perdite reversibili, eliminando quelli che potrebbero invece produrre perdite irreversibili ancora non scontate nei valori di mercato (per questi ultimi verrà il tempo per raccogliere a buon prezzo i superstiti, ma ora è presto). Chi invece ha avuto la buona sorte di trovarsi liquido durante la crisi potrà continuare a comprare gradualmente il meglio del meglio nel resto di quest'anno senza rincorrere per forza i rialzi.
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