Ce lo hanno detto da anni, che le categorie politiche del Novecento erano superate, che Destra e Sinistra significavano ormai poco e niente in un mondo sempre più globalizzato ed interdipendente.
La verità è che la globalizzazione dei commerci, la integrazione delle filiere produttive, insieme alla creazione di piattaforme informatiche che consentono comunicazioni e transazioni istantanee senza né confini fisici né frontiere legali nazionali, ha prodotto
squilibri economici e finanziari colossali.
Le
quattro aree monetarie principali, dollaro, euro, yen e yuan, hanno creato blocchi al cui interno gli aggiustamenti non sono più mediati dalle singole valute nazionali. La
lira italiana, così come il
franco francese o la
sterlina erano
in grado di conferire a ciascuna nazione il necessario livello di autonomia nella fissazione dei tassi di interesse e di rapporti di cambio. La creazione dello
SME (Sistema Monetario Europeo) e poi della
moneta unica hanno
prima ridotto e poi annullato questa possibilità.
Le asimmetrie sono strutturali: la
Germania, ad esempio, ha accumulato negli anni continui surplus commerciali, a cui hanno corrisposto altrettanti debiti da parte dei Paesi in deficit. Alla lunga, i crediti si fanno inesigibili e ci si deve appropriare dei beni del debitore, come è successo in Grecia ed in Spagna, dove le famiglie, le imprese e lo Stato sono stati costretti a vendere i propri averi per saldare i debiti. Ma i prezzi a cui sono stati ceduti non sono stati sufficienti a soddisfare le pretese dei creditori, e rimangono ancora indebitate.