Facebook Pixel
Milano 25-apr
0 0,00%
Nasdaq 25-apr
17.430,5 -0,55%
Dow Jones 25-apr
38.085,8 -0,98%
Londra 25-apr
8.078,86 +0,48%
Francoforte 25-apr
17.917,28 -0,95%

Per l'ILVA un Regio Editto

Strada facendo, il decreto sull'Ilva, ha perso di vista gli obiettivi dichiarati.

Il vero problema è rappresentato dal fatto che il Governo continua a non avere in mano nessuna garanzia che il beneficiario dell'autorizzazione e gestore dell'impianto metta davvero mano al portafoglio, per effettuare i 3 miliardi di investimenti che sarebbero necessari. Il decreto legge offriva l'occasione per mettere nero su bianco le salvaguardie finanziarie richieste dalla Commissione istruttoria già nominata ai tempi del Ministro Prestigiacomo: a pagina 971/973 del parere sullo stabilimento Ilva di Taranto si prevede infatti che "L'Autorità Competente, in sede di rilascio dell'AIA, stabilisce eventuali prescrizioni di natura finanziaria".

Ma né il decreto del Ministro Prestigiacomo né quello più recente del Ministro Clini sembrano aver dettato alcuna prescrizione in proposito: non risultano né una fidejussione, né un performance bond, e tanto meno un pegno. In pratica, ci si deve fidare della buona volontà della proprietà a mettere le mani al portafoglio: ma la holding, che forse i soldi li avrebbe e che avrebbe dovuto garantire, non entra mai formalmente in scena.

Nonostante i proclami, anche il sistema sanzionatorio non sembra affatto efficace: finora era previsto che, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni ministeriali, venisse irrogata una multa da 5.000 a 26.000 euro, ferma la possibilità di arrivare in determinati casi fino alla revoca dell'autorizzazione ed alla chiusura dell'impianto. Con il decreto, e solo in questo caso, è stata aggiunta una multa che può arrivare al 10% del fatturato.

Il fatto è che la nuova e salatissima sanzione pecuniaria, essendo applicata alla società operativa, ne decreterebbe il fallimento aprendo scenari ancora più oscuri, e che le sanzioni della revoca dell'autorizzazione e della chiusura dell'impianto sono contraddittorie rispetto alla "priorità strategica di carattere nazionale" attribuita alla sua attività.

Serviva molto di più.

  • Primo: un sistema vero di garanzie per la salute e per l'ambiente in un quadro di interventi richiesti all'azienda e da questa adeguatamente garantiti.
  • Secondo: un accordo con la Commissione europea per introdurre misure volte ad evitare di mettere fuori mercato la produzione di Taranto, giustamente chiamata per via della antropizzazione dell'area circostante anche ad anticipare una serie di normative a tutela della salute e dell'ambiente più stringenti e costose rispetto a quelle imposte alla concorrenza.
  • Terzo: un confronto serrato sulla competizione globale, economicamente insostenibile tra piattaforme industriali che rispettano vincoli ambientali e conseguentemente costi di produzione enormemente diversi. Il dumping ambientale va colmato con la tassazione, destinandone il provento alle aziende che investono rispettando standard più elevati.

Tutto questo sarebbe servito, sì, ma ai cittadini italiani. Al mercato non serve.

Condividi
"
Altri Top Mind
```