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Il fronte interno

Commercio e tecnologia, vincitori e perdenti


Quando Trump ha deciso di muovere i primi passi di una guerra commerciale alla Cina il tweet di annuncio ha tenuto a presentarla come destinata a una vittoria facile e sicura. Come esportatori netti hanno da perdere molto più di noi, ha scritto. Questo, in termini economici, è assolutamente vero, ma equivale a un'analisi del solo fronte esterno. Quanto al fronte interno, Trump ha pensato di rafforzare i suoi consensi negli stati manifatturieri del Midwest e in effetti, stando ai sondaggi, la sua popolarità è migliorata e ha raggiunto quella di Obama dopo lo stesso numero di mesi alla Casa Bianca.

Trump potrebbe però avere commesso tre errori di valutazione, di cui due sui rispettivi fronti interni.

Il primo è che in un conflitto non esce necessariamente vincitore chi ha meno da perdere ma chi è più disposto a perdere quello che ha, anche se è tanto. E qui la Cina, paese autoritario, parte molto avvantaggiata. Mentri gli importatori americani di acciaio o tecnologia cinese si sono subito stracciati le vesti all'annuncio dei dazi di Trump e mentre la Cnbc ha presentato mercoledì un ribasso di borsa dell'uno per cento come un drammatico esempio del danno che il protezionismo sta già facendo all'America, in Cina nessuna associazione di importatori di soia o di allevatori di maiali si è levata a criticare i dazi cinesi sui prodotti americani e tutti gli organi di informazione e i blog si sono stretti intorno al governo.

Il secondo è che la Cina non è il Giappone degli anni Ottanta e Novanta, un paese che si lasciò strapazzare commercialmente dagli Stati Uniti nel nome di un'alleanza politica e militare. La Cina è perfettamente consapevole dalla sua forza, esibisce in tutti i modi la sua volontà di superare tecnologicamente (e quindi militarmente) gli Stati Uniti e ha un fronte interno che, quanto meno ufficialmente, è pronto a uno scontro duro.

Il terzo è che la Cina è stata perfidamente mirata nella sua risposta a Trump. I dazi sui prodotti agricoli colpiscono stati agricoli tutti trumpiani. I dazi sulle auto americane non colpiscono Detroit, che alla Cina non fa nessuna paura, ma Tesla, che a una Cina che vuole diventare rapidamente leader globale nelle auto elettriche dà fastidio. I dazi sugli aerei, per ora quelli piccoli, accelerano la corsa cinese a diventare produttore mondiale di aerei accanto a Boeing e Airbus.

È ancora presto per dire come evolverà il conflitto commerciale con la Cina, ma dai primi segnali appare che Trump e Xi, uomini pragmatici, si tengano pronti a frenare l'escalation. La Cina concederà qualcosa sulla proprietà intellettuale, l'America renderà più difficile l'esportazione di tecnologia e qualche dazio rimarrà qua e là. Meglio che niente per Trump, meglio di una guerra conclamata per Xi. E in più, per calmare i mercati, Trump accelererà al massimo la conclusione dei negoziati con Canada e Messico per il nuovo Nafta.
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