Qualcuno sarà tentato di affermare che, se mai ci sarà recessione, questa sarà circoscritta ai prossimi sei-nove mesi e che il recupero azionario in corso anticipa un nuovo bull market per l'anno prossimo, quando, già in primavera, la Fed inizierà a tagliare i tassi.
Tutte le opinioni sono legittime, naturalmente, e non c'è dubbio che già adesso ci sono opportunità interessanti sui mercati. Detto questo,
non è da escludere che la navigazione tra i due iceberg dell'inflazione e della recessione sia più lunga e accidentata di quanto si sconti in questo momento e che il 2023 sia un anno di purgatorio per l'economia globale e per i mercati.
Oggi lo si dice di meno, ma fino a tempi recenti si usava ripetere che la politica monetaria dispiega i suoi effetti in 12-18 mesi. Il rialzo dei tassi di settembre, ammesso che sia l'ultimo, continuerà a produrre effetti restrittivi fino alla fine dell'anno prossimo.
Si può quindi dire che
la vera sfida, per le banche centrali, per l'economia e per i mercati, sarà il 2023. È stato facile, finora, alzare i tassi con un'economia che ha ancora una forza inerziale.
Con un'economia stagnante, muoversi tra inflazione e recessione sarà più difficile.
Sulla base di queste considerazioni sembra ragionevole mantenere un atteggiamento tattico cautamente costruttivo per i prossimi tre (e forse sei) mesi, ma è ancora presto per abbandonare una prudenza strategica.
Per cavalcare questa fase tattica di recupero il modo più rapido è quello di
riprendere in mano i settori più caduti in disgrazia durante il bear market, a partire dalla
tecnologia.
Per chi vorrà preferire un'impostazione strategica, il suggerimento è quello di provare a immaginare i nuovi leader dei prossimi anni. Le società con un ampio flusso di cassa, pricing power e bassi multipli potrebbero essere buoni candidati per questa nuova leadership.
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