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“Neuropa”: se la protesta non ha un progetto

L'Europa è in preda ad una crisi di nervi mentre le elites finanziarie usano il softpower della stampa per rabbonire i cittadini, il malessere dilaga. Ma senza un progetto, la protesta è inutile

L'Europa è in preda ad una crisi di nervi: mentre le elites finanziarie usano il softpower della stampa per rabbonire i cittadini, il malessere dilaga. Ma senza un progetto, la protesta è inutile.

Tra poco più di un mese i cittadini europei saranno chiamati alle urne, per eleggere il nuovo Parlamento europeo. E' un appuntamento tradizionalmente considerato superfluo, perché tanto a Bruxelles dominano comunque la Commissione e la burocrazia mercatista: i parlamentari europei sono degli sconosciuti, anche a sé stessi. Non hanno nessun peso sull'opinione pubblica, scompaiono mediaticamente di fronte ai Commissari, ed allo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri dell'Unione.

E' un Parlamento assai strano, quello di Bruxelles: ciascuno parla nella propria lingua mentre tutti ascoltano in cuffia le parole del traduttore. C'è silenzio nell'aula, perché la voce di chi parla non risuona, si declama sottovoce, un rito che sa di confessorio.

L'Unione europea è un fallimento completo: politicamente non esiste, economicamente è un mercato che non cresce, finanziariamente è frammentata, socialmente è dilaniata dalla disoccupazione.

La libertà di circolazione dei cittadini, delle merci e dei capitali, è invece solo un bricolage di legislazioni nazionali, dove ciascuno sceglie ciò che fa più comodo. I patrimoni vengono custoditi in una cassaforte finanziaria in Lussemburgo, inespugnabile dal fisco del Paese di cui i proprietari sono cittadini: lì, i dividendi vengono tassati come da noi in Italia una pensione al minimo. La cassaforte lussemburghese detiene a sua volta le quote azionarie di una holding in Olanda: si sfrutta così una altro vantaggio fiscale, visto che lì non sono tassate le plusvalenze sui cespiti al momento della loro cessione. Quando si rivende, il guadagno si incassa per intero e si trasferisce alla cassaforte lussemburghese: semplice, geniale e soprattutto legale. Le società operative, a valle della holding olandese, hanno invece la loro sede fiscale in Irlanda: lì si pagano tasse molto contenute sugli utili di esercizio. Gli utili sono di pertinenza della holding olandese che però non li tassa in quanto sono già stati tassati in Irlanda: li gira semplicemente alla cassaforte in Lussemburgo.

Non basta, perché l'attività economica viene spesso localizzata nei diversi Paesi europei dove il costo del lavoro è più basso: lì si pagano solo l'Iva e le imposte sul lavoro. Per guadagnare di più, molte aziende ottengono i finanziamenti della BEI o della stessa Unione europea per realizzare gli stabilimenti in Paesi ancora non aderenti all'Unione, come ad esempio la Serbia. Oppure si chiede al proprio governo di finanziare l'internazionalizzazione dell'impresa, assicurando il rischio all'estero: una altra burla.

Gli Stati europei finanziano così con le tasse pagate dai lavoratori europei la delocalizzazione delle imprese, e poi mettono ancora le mani nelle tasche dei loro cittadini per finanziare il welfare, il costo della disoccupazione che hanno contribuito a finanziare.

Tutti fanno a gara per dirci che non è colpa dell'euro e che sono i cittadini che devono cambiare, adeguandosi alla realtà.

Ci imbottiscono di tranquillanti, in un'Europa ridotta ad un manicomio per i cittadini. Ma protestare non serve. Senza un progetto, verranno eletti altri medici dei pazzi: Neuropa.
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