Dopo aver messo da parte dei soldi, bisogna capire come investirli. Due strade molto popolari per trasformare il risparmio in un investimento sono i
PIR (Piani Individuali di Risparmio) e i
PAC (Piani di Accumulo del Capitale). I primi premiano la fedeltà al mercato domestico con robuste agevolazioni fiscali, ma richiedono di immobilizzare il capitale per almeno cinque anni. I secondi spalmano gli acquisti nel tempo, attenuano gli scossoni di Borsa e lasciano ampia libertà di importi e disinvestimenti. Andremo ora a confrontare PIR e PAC, valutandone rischi e rendimenti potenziali e aiutandoci anche con simulazioni pratiche per capire a chi conviene davvero l’uno o l’altro prodotto.
Il Piano Individuale di Risparmio (PIR): significato, vantaggi, durata
I PIR sono stati introdotti con la Legge di Bilancio 2017 (-----INSERIRE LINK-----) e sono una sorta di “contenitore” riservato alle persone fisiche fiscalmente residenti in Italia, dentro il quale possono convivere azioni, obbligazioni, fondi, ETF, gestioni patrimoniali o polizze.
La norma impone che almeno il 70% del valore sia investito in titoli di imprese italiane (o europee con stabile organizzazione nel nostro Paese) e che una parte rilevante riguardi aziende medio-piccole escluse dall’indice FTSE MIB.
L’obiettivo pubblico è di convogliare il risparmio privato verso l’economia reale, facilitando l’accesso delle PMI ai capitali di mercato.
Il funzionamento è abbastanza semplice. Per investire in un PIR, infatti, si può scegliere come farlo tra diverse possibilità:
- Fondo PIR compliant: un fondo comune già pronto, che rispetta tutte le regole previste dalla legge.
- Gestione patrimoniale: affidiamo a una banca o società il compito di investire al posto nostro, sempre nel rispetto delle regole PIR.
- Polizza assicurativa: alcune assicurazioni offrono prodotti che seguono la normativa PIR.
- Conto titoli “fai da te”: gestiamo noi direttamente cosa comprare e vendere (ad esempio, ETF e azioni).
A questo punto, avviene il versamento dei capitali entro i limiti prestabiliti, ovvero da 500 € a massimo 40.000 € all’anno, con un tetto complessivo di 200.000 €, cioè su tutti gli anni sommati. I limiti sono molto più alti se optiamo per i PIR “alternativi” (ci torneremo a breve), che sono pensati per patrimoni ingenti e comportano rischi maggiori.
Ogni anno il nostro investimento deve mantenere le stesse regole di composizione (ad esempio, almeno il 70% deve essere investito in azioni o obbligazioni di aziende italiane o europee con presenza in Italia), un requisito che deve essere rispettato per almeno due terzi dell’anno.
Se abbiamo scelto un fondo o gestione patrimoniale, ci pensa automaticamente il gestore a rispettare queste regole. Se invece facciamo da soli, siamo noi che dovremo controllare di rispettarle: nel caso in cui dovessimo sbagliare, infatti, rischiamo di perdere i vantaggi fiscali.
L’investimento deve avere una durata minima di 5 anni per avere l’esenzione dalle tasse sui guadagni. Se lo ritiriamo prima, perdiamo l’esenzione fiscale e dovremo pagare le imposte sui guadagni ottenuti, a meno che non reinvestiamo la stessa somma entro 90 giorni in un altro strumento valido per il PIR (fondo compliant, gestione patrimoniale, polizza assicurativa, etc.).
Abbiamo accennato ai vantaggi fiscali: il PIR, infatti, azzera l’imposta del 26% su capital gain, interessi e dividendi maturati all’interno del contenitore e, inoltre, esclude il patrimonio dall’imposta di successione.
In pratica, un guadagno lordo di 10.000 euro si trasforma in un guadagno netto della stessa entità, mentre su un normale investimento subirebbe un prelievo di 2.600 euro.
L’agevolazione si cumula con eventuali detrazioni riservate a startup o PMI innovative se questi strumenti sono inclusi nel piano.
Come abbiamo già spiegato, cinque anni sono il periodo minimo di possesso per godere dell’esenzione, ma non esiste una durata massima, quindi il PIR può rimanere aperto a tempo indeterminato.
Ogni contribuente può avere un solo PIR ordinario presso lo stesso intermediario, mentre limiti diversi valgono per i PIR alternativi.
Conviene investire in PIR? Rischi e limitazioni
Per avere un quadro completo sui PIR, bisogna avere ben chiari anche quali sono i rischi e i limiti di questo tipo di investimento.
Il primo tallone d’Achille dei PIR è rappresentato dalla concentrazione geografica: per legge, almeno il 70% del portafoglio deve restare su società italiane e una parte va a PMI fuori dal FTSE MIB. Ne deriva il cosiddetto “rischio Italia”: se la crescita economica risulta modesta, i mercati risulteranno meno liquidi e le performance saranno storicamente inferiori a quelle di indici europei e statunitensi.
Il secondo rischio riguarda la volatilità e l’illiquidità. Titoli di PMI, minibond e strumenti non quotati trattano volumi ridotti. In fasi di stress, vendere può implicare forti sconti. Inoltre, smobilizzare prima di cinque anni può far decadere l’esenzione fiscale e questo trasforma i rendimenti in plusvalenze tassabili.
C’è poi il capitolo costi: i fondi PIR applicano commissioni di gestione mediamente più alte rispetto a prodotti analoghi. Se i rendimenti rimangono modesti, questi oneri possono annullare il vantaggio fiscale.
I PIR sono generalmente ideali per risparmiatori con un capitale già disponibile e un orizzonte di almeno cinque anni, disposti a lasciare i fondi investiti senza toccarli. Il vantaggio fiscale diventa importante per chi ha aliquote IRPEF medio-alte e vuole alleggerire la futura successione: l’esenzione da imposta su plusvalenze e passaggio ereditario consente infatti di trattenere integralmente i rendimenti maturati.
Non è invece la soluzione ideale per chi potrebbe aver bisogno di liquidità prima della scadenza quinquennale, per i contribuenti con aliquote basse o per chi ha già una forte esposizione all’Italia (BTP, lavoro, immobile). Il beneficio fiscale può infatti essere annullato da costi di gestione elevati o da performance deludenti del mercato domestico e risultano quindi adatti solo a investitori capaci di tollerare volatilità superiore a quella di un portafoglio globale e pronti a valutare con attenzione le spese applicate dall’intermediario.
Dove e come aprire un PIR?
Il PIR si può aprire presso qualsiasi banca, presso lo sportello di Poste Italiane oppure tramite altro intermediario finanziario abilitato, online o tramite piattaforme fintech.
Basta scegliere un prodotto compatibile (fondo PIR, deposito titoli, polizza d’investimento) e chiedere che sia inquadrato come Piano Individuale di Risparmio e compilare la modulistica standard (MiFID, antiriciclaggio, contratto d’apertura).
Andiamo ora a vedere quali sono i pro e i contro di aprire un PIR presso ciascun canale:
CANALE | VANTAGGI | SVANTAGGI |
Banca tradizionale | Presidio allo sportello, consulente dedicato | Commissioni spesso più alte |
Banca online / Fintech | Costi competitivi, operatività via app | Minore supporto umano, fai da te per le verifiche |
Società di gestione | Ampia scelta di fondi PIR, gestione professionale | Spese di gestione e sovrapprezzo del fondo |
Polizza assicurativa PIR | Benefici assicurativi, pianificazione successoria | Costi di caricamento elevati, minore flessibilità |
Per iniziare, sono sufficienti:
- Codice fiscale;
- Documento d’identità valido;
- Questionario di adeguatezza.
Prima di firmare, si raccomanda di confrontare i costi annui (gestione, performance, eventuali penali) con il risparmio fiscale atteso: su orizzonti a lungo termine, infatti, anche poche decine di punti base possono erodere il vantaggio.
Cosa sono i PIR alternativi fai da te?
Prima abbiamo accennato ai PIR alternativi fai da te. Questi sono contenitori fiscali introdotti dal Decreto Rilancio 2020, che condividono la stessa natura dei PIR ordinari, ma a differenza dei PIR gestiti da fondi, nei PIR alternativi l’investitore apre un mandato con una società fiduciaria in regime di risparmio amministrato: la fiduciaria vigila sul rispetto dei vincoli e opera per conto suo, ma la scelta degli asset è una decisione dell’investitore stesso.
Come già anticipato, il tetto dei PIR ordinari può essere sforato: infatti, ogni anno si possono conferire fino a 300.000 euro, per un massimo di 1,5 milioni in 5 anni. Tuttavia, anche in questo caso almeno il 70% del portafoglio deve essere composto da investimenti qualificati, ovvero azioni di PMI fuori dal FTSE MIB e Mid Cap, quote di SRL, minibond, prestiti peer-to-peer, fondi di private equity o private debt, asset-backed securities legate a imprese italiane. Su un singolo emittente non si può superare il 20% del valore complessivo e i requisiti devono essere rispettati per due terzi dell’anno.
Nel complesso, i PIR alternativi fai da te sono uno strumento adatto a patrimoni elevati e investitori con buona preparazione. Al tempo stesso, offre rendimenti potenzialmente alti, ma comporta illiquidità e un rischio superiore rispetto ai PIR tradizionali.
Piano di Accumulo Capitale (PAC): cos’è e come funziona
Il Piano di Accumulo del Capitale permette di investire poco alla volta per costruire un capitale senza farsi influenzare dal momento di mercato.
Entrando più nel dettaglio, il PAC è un programma che consente di acquistare periodicamente quote di un fondo, di un ETF o di un altro strumento collettivo. L’importo è prestabilito (ad esempio, 50, 100 o 200 euro) e il prelievo avviene in date regolari (mese, trimestre o semestre).
Il PAC è uno strumento pensato per chi non dispone di grandi somme, ma vuole partecipare ai mercati con gradualità, accumulando capitale nel tempo e riducendo il rischio di entrare in un colpo solo quando i prezzi sono alti.
Immaginiamo di voler investire 100 € al mese in un fondo. Attiviamo un PAC con la banca o con una piattaforma online e a partire da quel momento, ogni mese, la banca prende automaticamente 100 € dal nostro conto corrente e li usa per comprare quote del fondo che abbiamo scelto.
Ora, va detto che ogni mese il fondo può valere di più o di meno. Pertanto:
- Se il prezzo del fondo scende, con i 100 euro compreremo più quote (perché costano meno).
- Se il prezzo del fondo sale, con gli stessi 100 euro compreremo meno quote (perché costano di più).
Quello di cui abbiamo appena parlato si chiama “media del costo” e significa che alla lunga, grazie agli alti e bassi del mercato, pagheremo una media ragionevole per ogni quota, evitando di investire tutto quando i prezzi sono alti.
Il piano può durare pochi anni o estendersi per decenni, e può essere modificato o sospeso in qualsiasi momento, senza perdere quanto già accumulato.
Il vantaggio più evidente del PAC, quindi, è la protezione dal tempismo sbagliato: se investiamo tutto in una volta e il giorno dopo il mercato crolla, perdiamo subito valore, ma con il PAC s’investe un po’ alla volta. In questo modo, ci capita di comprare sia quando i prezzi sono alti, sia quando sono bassi. È come fare scorta di frutta: se compriamo solo oggi e troviamo prezzi alti, avremo speso tanto. Se invece compriamo ogni settimana, a volte spenderemo di più (e avremo meno frutta) e a volte di meno (ma con più frutta).
Come abbiamo anticipato, un PAC può essere aperto per pochi anni, ad esempio per sette o dieci anni, ma trova la sua piena efficacia su orizzonti superiori, ovvero quando l’effetto dell’interesse composto diventa visibile.
Cos’è l’interesse composto?
È quando i guadagni generano altri guadagni. In pratica, ogni anno non guadagniamo solo sull’importo che abbiamo versato, ma anche sui rendimenti ottenuti negli anni precedenti.
Facciamo un esempio pratico: mettiamo 100 euro in un fondo che guadagna il 5% all’anno. In questo modo, dopo 1 anno avremo 105 €. L’anno dopo, però, non guadagniamo più il 5% su 100 euro, ma su 105 euro, e così via. Com’è facile immaginare, dopo 10-15 anni la crescita accelera sempre di più, perché gli interessi fanno lavorare anche gli interessi passati. Nei primi anni l’effetto è quasi invisibile, ma più attendiamo, più si moltiplica.
Una domanda che può sorgere, a questo punto, è la seguente: ma in cosa investiamo esattamente quando apriamo un PAC?
Quando apriamo un Piano di Accumulo Capitale non investiamo nel PAC in sé, ma scegliamo uno strumento finanziario in cui versare le nostre rate. Ce ne sono di diversi tipi:
1.
Fondi comuni di investimento: sono gestiti da professionisti, sono quindi adatti a chi vuole delegare la gestione, e possono essere:
a.
Azionari: più rischiosi, ma con maggiori possibilità di rendimento;
b.
Obbligazionari: più stabili, ma con rendimenti più bassi;
c.
Bilanciati: un mix tra azioni e obbligazioni.
2.
ETF (Exchange Traded Funds): sono fondi di investimento a gestione passiva che replicano l’andamento di un indice, come il FTSE MIB o lo S&P 500. Costano poco rispetto ai fondi comuni, perché non c’è un gestore che prende decisioni e sono trasparenti, in quanto sappiamo sempre in cosa stiamo investendo. Sono uno strumento piuttosto efficiente e semplice, ideale però per chi ha almeno una minima familiarità con gli strumenti finanziari.
3.
Polizze finanziarie (unit linked): sono prodotti assicurativi che uniscono investimento e copertura assicurativa e sono utili se vogliamo lasciare un capitale agli eredi in modo ordinato o avere protezioni extra in caso di decesso, tuttavia i costi di gestione sono più alti rispetto a fondi ed ETF.
La scelta dello strumento dipende dal budget di cui disponiamo, dall’orizzonte temporale e dalla propensione al rischio.
A chi convengono i PAC?
I Piani di Accumulo del Capitale sono fatti su misura per chi preferisce investire poco alla volta invece di impegnare subito una grossa somma. Pensiamo a uno studente lavoratore che può destinare 50 € al mese, oppure a una famiglia che risparmia per l’università dei figli o a un libero professionista che vuole costruire un secondo cuscino pensionistico: ognuno di questi trova nel PAC uno strumento adeguato, con l’addebito automatico che rende il risparmio regolare e protegge dal rischio di entrare sul mercato nel giorno sbagliato.
La strategia a rate diluisce infatti le fluttuazioni dei prezzi: quando le quotazioni scendono si acquistano più quote, quando salgono se ne comprano meno, ottenendo un costo medio di carico più equilibrato.
I PAC sono indicati anche a chi teme l’emotività: seguono un programma prestabilito, riducono la tentazione di sospendere l’investimento nei crolli o rincorrere i picchi di mercato. Non sono invece la scelta ideale per chi dispone già di un capitale importante pronto da impiegare o per chi cerca rendimenti rapidi: i costi di transazione e di gestione, se elevati, possono infatti erodere il vantaggio della costanza dell’investimento, perciò conviene confrontare le commissioni e valutare ETF o fondi efficienti prima di partire.
Investire in PAC: rischi e limiti
Come abbiamo fatto per i PIR, vediamo ora quali sono i rischi e i limiti di investire in PAC. Il primo fattore da pesare è il costo per rata: molti broker applicano una commissione fissa che incide poco su versamenti di importi medio-alti (ad esempio, 200 €), ma pesa oltre il 5% se si investono solo 50 €. A ciò vanno sommate eventuali spese di apertura, diritti fissi o caricamenti sul fondo sottostante.
Viene poi il rischio di mercato: è vero che il piano attenua la volatilità media, ma non la elimina del tutto. Si acquista a prezzi diversi, quindi nei periodi di rialzi rapidi il PAC tende a rendere meno rispetto a un investimento in un’unica soluzione. Se si interrompe il programma proprio in una fase di ribasso, le minusvalenze diventano definitive, la perdita è concreta.
C’è anche un rischio di liquidità personale. Servono entrate regolari e un fondo d’emergenza: un’esigenza imprevista, infatti, potrebbe costringere a smobilizzare quote in perdita e a pagare eventuali penali.
Inoltre, la qualità del fondo o dell’ETF scelto resta determinante: un sottostante scarso (il sottostante è l’insieme degli investimenti reali che si trovano nel fondo o ETF scelto per il nostro PAC) o poco diversificato diventa solo un modo costante per accumulare investimenti poco validi.
Infine, va considerata la durata: il PAC dà il meglio su orizzonti a lungo termine, mentre se l’orizzonte previsto è più breve, i benefici della diluizione temporale possono essere vanificati da costi e oscillazioni.
Come e dove aprire un PAC?
Per aprire un PAC abbiamo due vie principali:
- Rivolgersi a una banca o società di gestione del risparmio tradizionale con sportelli in città;
- Scegliere una piattaforma digitale (broker online o robo-advisor).
La procedura, in entrambi i casi, segue passi pressoché identici.
Per aprire un PAC abbiamo bisogno di un conto corrente bancario o postale da dove saranno prelevati in automatico i soldi ogni intervallo di tempo scelto (mese, trimestre, semestre), nonché di un documento d’identità valido e del codice fiscale.
Inoltre, per legge l’intermediario deve verificare se il prodotto è adatto al nostro profilo: per questo ci sarà chiesto di compilare un breve questionario MiFID che valuterà la nostra esperienza con gli investimenti, la capacità di sostenere i rischi e i nostri obiettivi.
Differenze tra PIR e PAC: tabella comparativa
Dopo aver spiegato cosa sono i PIR e i PAC, andiamo a fare un riepilogo delle principali differenze tra i due strumenti in base alle caratteristiche che possono interessare all’investitore.
CARATTERISTICA | PIR | PAC |
Strumento | Contenitore fiscale regolamentato per legge: almeno il 70% investito in società italiane, con focus su PMI | Modalità di versamento periodico su fondi, ETF, gestioni o polizze. Nessun vincolo sul tipo di strumento, salvo quelli scelti dal risparmiatore |
Obiettivo principale | Sostenere l’economia reale italiana e le PMI, sfruttando un forte beneficio fiscale | Costruire un capitale nel tempo riducendo il rischio di entrare nei mercati al momento sbagliato |
Fiscalità | Esenzione totale da imposta sui rendimenti e di successioni dopo 5 anni di detenzione | Tassazione ordinaria al 26% sui rendimenti, nessuna agevolazione fiscale specifica |
Importi | Versamenti da 500 € a 40.000 € l’anno, massimo 200.000 € complessivi (limiti più alti per i PIR alternativi) | Importo minimo a partire da 25-100 € a rata al mese. Nessun tetto massimo di legge |
Durata e liquidità | Vincolo minimo di 5 anni per i benefici fiscali. L’uscita anticipata comporta una perdita dei benefici e una tassazione retroattiva | Durata flessibile, le quote sono riscattabili in qualsiasi momento, salvo eventuali costi o minusvalenze |
Rischi specifici | Elevata esposizione al mercato italiano e a titoli poco liquidi. Perdita delle agevolazioni se non si rispettano i vincoli | Dipende dallo strumento scelto. Se si smobilizza in perdita, la disciplina del PAC non protegge |
Flessibilità operativa | Limitata: un solo PIR per persona (presso lo stesso intermediario). Struttura e composizione del PIR vincolate dalla normativa | Molto elevata: si può modificare rata, durata, frequenza o cambiare fondo in modo semplice |
Costi tipici | Spesso sono più alti rispetto a fondi normali. Commissioni di gestione e performance possono ridurre i benefici fiscali | I costi sono variabili, ma attenzione alle commissioni fisse sulle rate e alle spese elevate nei primi anni |
PIR e PAC possono convivere?
PIR e PAC possono convivere? La risposta è sì, anzi, in molti casi ha anche senso combinarli. I due strumenti, infatti, non si escludono, ma possono completarsi a vicenda in base a quanto abbiamo da investire, agli obiettivi personali e al livello di rischio che siamo disposti ad accettare.
Se abbiamo un capitale da investire (pensiamo a un TFR, a un’eredità o a un risparmio accumulato), potremo usarne una parte per aprire un PIR e beneficiare dell’esenzione fiscale sui guadagni, lasciando il resto investito su strumenti più flessibili. Nel frattempo, possiamo continuare a costruire un PAC mensile, anche su altri mercati o fondi diversi, per continuare ad accantonare denaro in modo disciplinato.
Dobbiamo pensare infatti che il PIR è pensato per un orizzonte medio-lungo (almeno 5 anni) ed è in gran parte legato all’economia italiana. Il PAC, invece, è più flessibile: possiamo usarlo per obiettivi concreti e programmabili (fondo per imprevisti, anticipo sul mutuo, università dei figli) e possiamo modificarne le condizioni quando vogliamo.
Inoltre, la convivenza tra i due strumenti permette di bilanciare e diversificare il rischio. Il PIR ha una forte esposizione all’Italia e alle PMI italiane, ma questo può essere un rischio se il mercato interno va male. Con il PAC possiamo invece bilanciare il portafoglio investendo in fondi globali, obbligazionari o tematici, creando così una maggiore diversificazione, che deve essere la parola chiave di ogni investimento per limitare le perdite e i rischi dello stesso.
PIR e PAC a confronto: simulazione d’investimento
Dopo aver esaminato nel dettaglio cosa sono i PIR e i PAC e quali sono le principali differenze tra questi due strumenti, andiamo adesso a mostrare in modo realistico come cambiano i risultati tra un investimento in PIR e un PAC nel corso di cinque anni, con due simulazioni verosimili (non performance garantite) basate su ipotesi di rendimento lordo medio annuo del 5% e sulla fiscalità attualmente in vigore.
Nel primo caso si versa oggi un importo unico di 5.000 €, lo si colloca in un PIR ordinario e lo si lascia crescere senza ulteriori aggiunte. Dopo 5 anni, l’ipotesi di crescita composta trasforma il capitale in circa 6.380 €. Il guadagno lordo è quindi di 1.380 €.
Poiché il piano rispetta la durata minima, l’esenzione prevista dal PIR elimina totalmente l’imposta del 26%: il risparmiatore incassa quindi l’intera plusvalenza.
Se lo stesso investimento fosse stato effettuato in uno strumento fuori dal contenitore, il fisco avrebbe prelevato circa 360 €, riducendo il valore finale a poco più di 6.020 €. In pratica l’effetto PIR vale qui 6-7 punti percentuali in più di rendimento netto.
Nel secondo scenario si apre un PAC che sottrae al conto corrente 100 € al mese per 60 mesi, sempre con rendimento lordo medio del 5%. La progressiva capitalizzazione delle rate produce, a fine periodo, un montante di circa 6.800 €, di cui 6.000 € di conferimenti e 800 € di utile lordo.
Per mancanza di agevolazioni, questa plusvalenza subisce la tassazione ordinaria: il prelievo di 208 € porta il valore di rimborso netto a circa 6.590 €.
Dal punto di vista dell’ammontare finale, il PAC risulta leggermente superiore al PIR semplicemente perché l’esborso complessivo è maggiore (6.000 € contro 5.000 €). Se però si rapporta il guadagno al capitale effettivamente investito, si scopre che il PIR ha reso il 28% netto (complessivamente, ovvero nell’arco dei 5 anni), mentre il PAC si ferma a poco meno del 10%, cifra comunque in linea con la diluizione temporale dei versamenti.
CARATTERISTICHE | PIR (Investimento unico) | PAC (Piano di Accumulo) |
Importo totale investito | 5.000 € (versamento iniziale) | 6.000 € (100 € al mese per 60 mesi) |
Durata | 5 anni | 5 anni |
Rendimento lordo annuo ipotizzato | 5% | 5% |
Valore finale lordo | 6.380 € ca. | 6.800 € ca. |
Utile lordo | 1.380 € ca. | 800 € ca. |
Tassazione su plusvalenze | 0 € | 208 € |
Valore finale netto | 6.380 € ca. | 6.590 € ca. |
Guadagno netto | 1.380 € | 590 € |
Rendimento netto complessivo | +28% sul capitale investito | +9,8% sul capitale investito |
Liquidità investita | Subito disponibile in partenza | Versata in modo graduale |
Vantaggi principali | Esenzione fiscale sulla plusvalenza, massimo rendimento netto se mantenuto 5 anni | Versamenti flessibili, disciplina del risparmio, rischio minore di ingresso sui massimi |
Svantaggi principali | Immobilizzazione del capitale, possibile costo di gestione (circa 1-2% annuo) | Tassazione sulle plusvalenze, possibili costi su ogni rata |
Queste simulazioni sono ovviamente semplificate: come accennato anche in tabella, bisogna considerare che i PIR solitamente prevedono un costo di gestione dell’1-2% annuo più eventuale commissione d’ingresso, che sugli strumenti finanziari è dovuta l’imposta di bollo (0,2%) e, soprattutto, che il 5% annuo di rendimento è solo un’ipotesi.
A ogni modo, il confronto mette in luce tre conseguenze pratiche:
- La fiscalità incide in modo sostanziale sul risultato di un investimento a capitale unico, e il vantaggio del PIR diventa tanto più evidente quanto più elevata è l’aliquota di riferimento e la performance del mercato.
- Il PAC, pur tassato, rimane competitivo grazie alla disciplina del versamento e alla possibilità di accumulare cifre superiori senza doverle immobilizzare tutte in partenza.
- Se i mercati dovessero registrare rendimenti inferiori o costi superiori a quelli ipotizzati, il cuscinetto fiscale del PIR potrebbe assottigliarsi, mentre nel PAC sarebbero propri i costi di sottoscrizione per rata a ridurre l’effetto della media dei prezzi.
Possiamo quindi ribadire che scegliere l’uno o l’altro strumento dove collocare i nostri risparmi richiede di bilanciare liquidità disponibile, orizzonte temporale e soglia di sopportazione del rischio, ricordando che l’esenzione PIR premia soprattutto la pazienza, mentre il PAC favorisce la costanza di risparmio.
(Foto: Joshua Mayo su Unsplash)