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Alla ricerca del rendimento perduto

Esistono fasi sui mercati finanziari dove si creano, per un insieme di motivi, condizioni particolari, a volte uniche.

Esistono fasi sui mercati finanziari dove si creano – per un insieme di motivi – condizioni particolari, a volte uniche. Queste condizioni danno vita a opportunità ma anche – talvolta – a rischi: si pensi alla bolla della tecnologia della fine degli anni ’90 e alla bolla immobiliare e del credito di qualche anno fa, poi esplosa nella “crisi Lehman” del 2008, ma anche alla stessa APPLE di cui ho più volte parlato e alle opportunità che si creano ogni volta che una crisi rientra.

La cosa forse più interessante – dal punto di vista dell’analisi comportamentale – è che questo tipo di situazioni si maschera, nel suo divenire e in special modo nella sua fase finale, in modo camaleontico o forse meglio “alla Zelig”, apparendo qualcosa di completamente diverso da ciò che è in realtà: il rischio si maschera da opportunità, l’opportunità al contrario si traveste da rischio. La conseguenza è che la maggioranza degli investitori, e spesso anche i professionisti del settore, non avendo una adeguata percezione della situazione reale per cause diverse (una delle più frequenti è un eccesso di emotività), cade nella trappola tesa dai mercati e, quindi, acquista quando il prezzo è troppo alto oppure vende quando il prezzo è troppo basso. Non è sempre facile smascherare queste situazioni, ma ci si può provare e a volte ci si riesce. Fatta questa opportuna premessa, vediamo cosa sta succedendo su un mercato importantissimo e preponderante in tutti i portafogli dei risparmiatori: il reddito fisso. Lo scenario del mercato europeo (ma gli USA non sono molto diversi) è il seguente:

  • La Banca Centrale ha portato i tassi a breve verso lo zero e ha chiaramente detto che non muterà questa politica espansiva fino a che non ci saranno chiari segnali di una ripresa della circolazione del denaro e dell’economia.
  • L’inflazione è al 3%.
  • Tutto ciò che, a livello di obbligazioni governative o corporate (cioè emesse dalle aziende) ha un rating medio-alto, sopra la fatidica “A”, ha rendimenti inferiori all’inflazione: si pensi al Bund decennale tedesco, che rende intorno all’1.5%.
  • Tutto ciò che ha scadenza inferiore ai 2 anni ormai non rende praticamente nulla, specie se ha rating accettabile.

A cosa sta portando questa situazione? Con tassi a breve e tassi sui debitori ad alto rating ai minimi storici, investitori privati e istituzionali sono costretti a cercare il rendimento in tre modi:

  1. Allungando la duration, cioè andando su scadenze lunghe, a volte anche molto lunghe, che rendono di più = annullamento del “premio di tasso”.
  2. Andando su emissioni a rating progressivamente sempre inferiore, che – in quanto più “rischiose” – rendono di più = annullamento del “premio di credito”.
  3. Per alcuni investitori istituzionali, usando la leva finanziaria (favorita dai tassi a breve vicini a zero) in modo da poter “lavorare” e, quindi, generare reddito cedolare su masse maggiori di bonds = incremento esponenziale del rischio di tasso e di credito.

I mercati (intesi non in senso lato e generico, ma come “insieme degli investitori”) hanno trascorso un lungo periodo passato nel porto sicuro, ma assai poco remunerativo, del cash e del debito tedesco o nordeuropeo. Ora stanno mollando gli ormeggi e si stanno dirigendo alla ricerca del rendimento perduto, verso acque profonde dove i rischi sono ben maggiori. Quasi tutte le classi di asset del reddito fisso sono state coinvolte: per ottenere un rendimento maggiore dell’inflazione, bisogna rivolgersi o alle scadenze medio-lunghe dei debiti nazionali cosiddetti “periferici” (tra cui c’è ancora l’Italia), oppure ai bonds ad alto rendimento (high yield bonds), che rendono ormai meno del 6%, ma che hanno un rischio di credito (= possibile default) molto elevato, che diventerebbe ancora più elevato in determinate condizioni (recessione e/o tensioni sul credito).

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