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La riduzione degli stimoli monetari da parte della Fed

Le politiche monetarie espansive possono generare benefici nel breve termine, ma sono come una droga che induce la sensazione di sollievo finché viene somministrata.

La crescita dei tassi e la caduta delle Borse a seguito delle dichiarazioni del capo della Fed, Ben Bernanke, sulla prossima riduzione degli stimoli monetari, che peraltro già mostravano alcuni limiti, come anticipato e indicato in altre sedi, dimostrano che le politiche monetarie espansive possono generare benefici nel breve termine ma sono come una droga che induce la sensazione di sollievo finché viene somministrata, fino a quando non produce assuefazione e fino a quando si pensa di poterne assumere altre dosi ma, poi, induce depressioni e stati di ulteriore e crescente malessere.

E tutto ciò con buona pace:

- dei sostenitori della cultura statalista ed interventista che hanno visto in queste politiche il potere della mano pubblica sul governo dell'economia, mentre in realtà è solo il segno di una disperazione dei leader politici ed economici che cercano per questa via di rivitalizzare un sistema economico che si è incartato e che senza interventi strutturali non è in grado di riprendere un percorso virtuoso e rischia, invece, anche di trascinare nella crisi i paesi che in questi anni hanno trascinato la crescita avendo maggiori potenzialità di sviluppo (Cina, India, Brasile, ecc.);

- della concezione "tatticistica" di gran parte dei leader politici internazionali che, di fronte all'attuale crisi epocale e alla loro incapacità di affrontare i nodi strutturali e di definire politiche di governo e sistemi istituzionali compatibili con i nuovi assetti economici, non trovano altro che chiedere alle autorità monetarie di pompare altra liquidità, senza rendersi conto che la stessa crisi, iniziata nel 2007-2008, è stata generata dalle politiche di elevata liquidità e di bassi tassi di interesse dei precedenti 10 anni che hanno alimentato i mercati finanziari speculativi a livelli di transazione e con modalità di gestione del tutto fuori controllo;

- di alcuni autorevoli economisti internazionali che non trovano di meglio di scontrarsi su teorie e modelli di politica economica ormai del tutto obsoleti rispetto alle mutate logiche di funzionamento dell'economia a livello globale;

- di coloro che sembrano non avere imparato dal passato e che, con qualche dose di illusoria speranza, credono che le cose possano sistemarsi attraverso meccanismi di riequilibrio che, tuttavia, hanno sempre richiesto interventi esterni che, nel contesto attuale, possono essere su una scala dimensionale ben maggiore di quella nazionale o anche continentale.

In effetti, in un contesto finanziario e industriale sempre più globalizzato, le politiche monetarie espansive hanno minori effetti sull'economia reale rispetto a quando i contesti economici erano più domestici. La massa monetaria che viene incrementata dalle Banche Centrali in parte finisce a finanziare nuovi consum ed investimenti, ed in gran parte finisce nei mercati finanziari più speculativi che trovano vantaggio dai bassi tassi d'interesse e dalla ingente liquidità disponibile che, peraltro, non trova richiesta in attività di consumo e d'investimento, stante i sempre minori tassi di crescita attuale e prospettica dell'economia reale dei paesi più avanzati.

Il rischio, come espresso già da tempo, è che tutte queste situazioni non facciano altro che accrescere la crisi e di portarla a punti in cui sarà sempre più difficile intervenire in modo strutturale. E' sempre più evidente che la crisi potrà essere superata solo quando verranno attivate politiche che rispondono a logiche di discontinuità rispetto a quelle tradizionali che, ancora adesso, si pretende di attuare in modo sistematico.

Pertanto, ancora una volta emerge come una nuova fase di crescita e di sviluppo richieda una nuova classe dirigente che sia in grado di interpretare e di governare la realtà con schemi culturali, politici ed economici nuovi e rispondenti alle mutate sfide e alle logiche di funzionamento dell'economia e della società. E i fatti trattati in questa sede dimostrano che questo non è un problema solo italiano, sebbene da noi appare ancora più rilevante perché è accresciuto dall'esistenza di un sistema politico e istituzionale ormai logorato, obsoleto e incapace di autoriformarsi.
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