Ci sono, semplificando e facendo una scelta un po' arbitraria, quattro teorie sul mondo.
La
prima è quella della
Fed. La Grande Recessione ha certamente cambiato le cose e reso la ripresa particolarmente lenta, ma le leggi fondamentali dell'economia, quelle insegnate nelle università dagli anni Cinquanta in avanti, non sono cambiate.
La curva di Phillips funziona ancora e la riduzione progressiva del numero dei disoccupati porterà alla fine inflazione salariale, rendendo necessario un ciclo di
rialzo dei tassi.
Certo, alla Fed sono persone di mondo e questa linea è stata nel tempo annacquata e resa quasi irriconoscibile, tanto da portare alcuni ad
accusare la Fed di predicare i rialzi senza in realtà volerli. Sullo sfondo, però, la curva di Phillips si staglia ancora netta e chiara nella visione della Fed e la induce, se non a realizzare, quanto meno a predicare (come nel comunicato di ieri) l'opportunità di futuri rialzi. La Fed, in altre parole, è espansiva tatticamente, ma rimane sotto sotto preoccupata soprattutto per un futuro possibile eccesso di domanda che potrebbe diventare difficile da controllare. Che cosa succederebbe se alla pressione salariale dovesse poi unirsi una rinnovata disponibilità delle banche ad erogare prestiti, cosa peraltro già visibile in America?
La
seconda teoria, quella della
Stagnazione Secolare, sostiene invece che di eccesso di domanda non è proprio il caso di parlare perché il problema sta semmai nella sua debolezza. C'è poca domanda, dice Summers, perché la popolazione invecchia e perché le diseguaglianze aumentano. Questi due fattori portano a risparmiare di più e l'eccesso di risparmio provoca una caduta strutturale dei tassi d'interesse. La Fed fa quindi bene a tenere i tassi bassi, ma questo non basta. Occorre stimolare la domanda attraverso la politica fiscale e non abbassando le tasse bensì aumentando la spesa pubblica.
La
terza teoria sostiene che
non c'è scarsità di domanda ma eccesso di offerta. L'entusiasmo dei decenni scorsi ci ha lasciato in eredità una quantità eccessiva di fabbriche di acciaio e di auto, troppe miniere, troppi pozzi di petrolio, troppe banche in Europa, troppa energia elettrica, troppe fabbriche di semiconduttori e di prodotti elettronici. Alla pressione deflazionistica di questo eccesso di capacità produttiva si unisce quella esercitata dall'innovazione tecnologica. Questa pressione alza i tassi reali, aumenta la propensione al risparmio e riduce quella ad investire. Come sostiene Steven Ricchiuto, capo economista di Mizuho, il problema potrebbe aggravarsi nel futuro prossimo a causa delle attese irrealistiche da parte degli investitori sugli utili delle imprese. Di fronte a una difficoltà crescente ad aumentare i margini, le imprese potrebbero ricorrere di nuovo a licenziamenti, aggravando così la pressione deflazionistica. Il solo rimedio, in questa situazione, è in una riduzione delle attese degli investitori ovvero, in pratica, in una borsa più bassa.
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