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Mutamenti

Non è un mondo per mercantilisti

Felicità, per i mercantilisti, è esportare. Più precisamente è esportare il più possibile e importare il meno possibile, in modo da realizzare ogni anno un attivo delle partite correnti che vada a sommarsi a quello degli anni precedenti. Questo tesoro, accumulato nel tempo, fino a mezzo secolo fa era costituito da oro e da valute estere convertibili in oro. Oggi, più prosaicamente, è costituito quasi esclusivamente da carta elettronica emessa da banche centrali straniere.

Contemplare il proprio tesoro piace a molti, ma anche per un mercantilista la contemplazione pura di lingotti d'oro o di titoli di stato stranieri è una forma di feticismo. La motivazione razionale, per lui, è quella di avere un apparato produttivo imponente e competitivo. Imponente, perché deve cercare di soddisfare non solo la domanda interna, ma anche quella estera, che è potenzialmente molto più grande. Competitivo, perché altrimenti, nel lungo periodo, altri paesi prenderanno il suo posto.

Certo, un mercato estero di sbocco può essere conquistato con mezzi militari, così come un mercato interno può essere difeso con alti dazi. Storicamente è stato così per tutti gli imperi coloniali. Le colonie compravano i manufatti della madrepatria non perché questa avesse i prodotti migliori a un prezzo più basso, ma perché erano gli unici che era loro consentito acquistare. Quando però le spese militari per controllare le colonie cominciarono a salire oltre un certo livello, gli imperi dovettero essere abbandonati. A quel punto, laddove non entravano in funzione meccanismi neocoloniali, i prodotti della madrepatria, se non competitivi, perdevano il mercato di sbocco.

Dal canto loro gli alti dazi per difendere il mercato interno, se protratti nel tempo, impigriscono i produttori domestici. Per questo il mercantilista intelligente, a partire dal momento in cui si sente competitivo e sicuro di sé, si schiera a favore del libero scambio.

Il mercantilismo del secondo dopoguerra è stato concesso dal vincitore, gli Stati Uniti, ai vinti, Giappone e Germania. Con un dollaro sopravvalutato rispetto a marco e yen e la disponibilità ad accettare dazi asimmetrici, l'America ha accelerato la ricostruzione dei paesi sconfitti e, dando loro benessere, li ha tenuti lontani dalla tentazione di avvicinarsi troppo all'Unione Sovietica.

Anche il mercantilismo cinese è octroyé, è cioè, in origine, una concessione dell'Occidente alla Cina di Deng. L'Occidente permette alla Cina di mantenere un renminbi sottovalutato e di adottare pratiche commerciali disinvolte per accelerare la costruzione di una forte economia. L'obiettivo politico (finora mancato) è quello di una Cina assimilata al modello liberaldemocratico. L'obiettivo economico (mancato a metà) è quello di avere nel tempo un vorace compratore di prodotti di un Occidente che ha saturato il suo mercato interno.
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