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Sempre più difficile

Quando restare investiti diventa un obbligo

Gli argomenti degli scettici sono molto interessanti. Questo, in particolare, fa una certa impressione. Nell'ottobre 2007, quando la Fed decise un primo taglio dei tassi in un contesto macro che andava indebolendosi ma che era ancora positivo, il mercato azionario fece un nuovo massimo storico. Un anno e mezzo più tardi aveva però perso due terzi del suo valore. Non potrebbe essere così anche questa volta?

Secondo argomento. La Fed si ostina a misurare l'inflazione con una metrica (PCE) che la sottovaluta di un punto percentuale rispetto a quelle più sofisticate delle Fed regionali. Di inflazione ce n'è quindi più che abbastanza e andarne a cercare a tutti i costi dell'altra non ha senso.

Terzo argomento. Se corriamo ad abbassare i tassi e a riprendere in considerazione il Quantitative easing al primo segno di malessere, peraltro non confermato, che cosa ci resterà nell'armadietto dei farmaci il giorno in cui ci sarà davvero una recessione?

Quarto argomento. Che certezza abbiamo che gli stimoli monetari non si limitino per l'ennesima volta a gonfiare il valore degli asset finanziari senza avere traino sull'economia reale? Forse per l'America ci sarà anche una ricaduta reale, ma in Europa che differenza può fare quella manciata di punti base che verranno eventualmente tagliati in un contesto in cui le banche non danno credito aggiuntivo e cercano semmai di ridurre strategicamente la loro esposizione?

Quinto argomento. Se davvero la Fed taglierà i tassi di 50-75 punti base, la BCE non potrà fare altrettanto e quindi il differenziale tra i tassi americani e i nostri si ridurrà, indebolendo il dollaro. Che cosa può avere da festeggiare l'azionario europeo con la prospettiva di un euro più forte, di una Brexit dura in ottobre, di un Trump più che mai pronto, in caso di accordo con la Cina, ad aprire un fronte di guerra commerciale (e anche un po' strategica) contro di noi? Se in questo momento ci sono borse che hanno qualche diritto di festeggiare sono quella americana (tassi in discesa e dollaro più debole), quella cinese (in caso si riapra davvero una fase di distensione con gli Stati Uniti) e quelle emergenti (dollaro più debole), in particolare in quei paesi che producono materie prime, favorite dall'indebolimento del dollaro. Ma l'Europa che c'entra?
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