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Anni instabili

Le grandi incognite della geopolitica e dell'economia

Lo storico scozzese Niall Ferguson tira un sasso in piccionaia e sostiene che il punto di crisi tra Stati Uniti e Cina su Taiwan è sempre più vicino e potrebbe diventare ben visibile già alla metà di questo decennio, quando il rafforzamento navale cinese porterà a un equilibrio di forze nell'area. Che cosa faranno a quel punto gli Stati Uniti, impegnati formalmente a intervenire in caso di crisi ma restii a rafforzare la loro presenza? Che cosa sceglierà Biden, se toccherà a lui gestire una possibile crisi, tra la rischiosa strada dello scontro e la ritirata? Lo scontro, nota Ferguson, potrebbe anche essere limitato al terreno delle sanzioni, ma rischierebbe comunque di avere una ricaduta pesante sull'America stessa e di compromettere gli sforzi per creare un forte e duraturo ciclo espansivo.
Probabilmente, dice Ferguson, l'America rinuncerebbe a impegnarsi in una sfida dall'esito incerto, ma questo ne disvelerebbe la natura di tigre di carta. Per l'America si tratterebbe allora di rivivere l'umiliazione che Gran Bretagna e Francia subirono nel 1956 con la crisi di Suez. Fu in quel momento, concordano gli storici, che divenne evidente quella perdita di status delle due potenze europee che era già iniziata da molto tempo.

Suez non fu presa bene né dalla sterlina né dalla borsa, ma la vita continuò. Parigi e Londra sopravvissero, ovviamente, e vissero bene, nel complesso, la fase storica del loro declassamento, ma qualcosa si era rotto per sempre.
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