Per quanto suggestiva, tuttavia, la narrazione alternativa non sembra abbastanza solida. Il rialzo dei tassi è per ora contenuto ed è ben al di sotto di quello che sembrava profilarsi nel primo trimestre. La paralisi politica americana è in via di lenta risoluzione. Il pacchetto bipartisan sulle infrastrutture verrà sicuramente approvato e quello redistributivo (spese e tasse) dei soli democratici verrà ridimensionato da 3.5 a poco meno di 2.5 trilioni. Il
debt ceiling sarà oggetto di schermaglie fino a dicembre, ma il suo innalzamento sarà incluso nella procedura di riconciliazione che permette l'approvazione a maggioranza semplice.
La Cina metterà delle pezze sulla crisi del settore immobiliare e spingerà al massimo il carbone per prevenire una crisi della sua industria pesante. Putin aumenterà le forniture di gas all'Europa. In America la domanda interna, debole da giugno ad agosto, è ripresa in settembre insieme all'occupazione. La correzione di Wall Street, dal canto suo, sembra terminata.
Dalle vicende dei giorni scorsi è emersa però con più chiarezza una vulnerabilità strutturale sul fronte dell'energia che potrà accompagnarci, con fasi acute e periodi di remissione, per tutto il decennio. Si profila insomma il rischio di quella che, in omaggio a Mundell, potremmo definire una trinità impossibile tra una transizione energetica disegnata male (che chiameremo transizione 1.0), inflazione contenuta e alti livelli di crescita.
Per transizione 1.0 intendiamo un processo in cui l'effetto annuncio e la gara a proclamare obiettivi sempre più ravvicinati di elettrificazione, decarbonizzazione e uscita dal carbone, dal petrolio, dal gas e dal nucleare hanno avviato una pars destruens che procede a passo sempre più spedito senza che a una pari velocità proceda la pars construens delle fonti alternative e senza una linea chiara su gas e nucleare, le due fonti che dovrebbero garantire di coprirci le spalle mentre ci ritiriamo da carbone e petrolio.
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