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Tra Banche e Politica, il grande gelo

La crisi ha sconvolto gli equilibri di potere, finanziari e politici

Sono stati tutti pronti a stracciarsi le vesti per il palese conflitto di interessi, o anche per aver taciuto in Parlamento, dopo la rivelazione fatta da Ferruccio De Bortoli nel suo recente libro di memorie, che anni fa il Ministro Maria Elena Boschi non avrebbe trovato niente di strano nel chiedere all'allora Amministratore delegato di Unicredit di aprire un dossier su Banca Etruria.

E via, allora, tutti a rivangare: dalla proposta di acquisizione fatta dalla Popolare di Vicenza, per un euro ad azione, alle altre possibili operazioni di fusione con la BPER, al decreto legge di fine 2015 che mise in liquidazione le quattro piccole banche locali, tra cui Banca Etruria. Non fu la sola, quindi, ad essere coinvolta in un processo di degrado continuo insieme a Banca Marche, CariChieti e Cassa di Risparmio di Ferrara.

Allora si disse che con quel provvedimento si tutelavano almeno i depositi dei risparmiatori ed il personale impiegato: “La soluzione adottata”, così precisava la Banca d'Italia in un suo Comunicato,“assicura la continuità operativa delle banche e il loro risanamento, nell'interesse dell'economia dei territori in cui esse sono insediate; tutela pienamente i risparmi di famiglie e imprese detenuti nella forma di depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie; preserva tutti i rapporti di lavoro in essere; non utilizza denaro pubblico”. Di recente, dopo essere state acquisite da UBI ad 1 euro, e soggette a ricapitalizzazione, è stato annunciato un taglio del personale di 1.569 unità, pari ad un terzo dell'organico, mentre sono stati ceduti al Fondo Atlante 2,2 miliardi di euro di crediti ammalorati. Insomma, la pulizia già fatta a fine 2015 separando la parte buona del credito da quella cattiva, che ammontava ad 8,5 miliardi di euro svalutati a 1,5 miliardi, non era stata affatto sufficiente.

Inutile rammentare che cosa è successo alle due banche venete, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, il cui capitale è stato dapprima svalutato e poi è subentrato ancora il Fondo Atlante come azionista.

Del Monte dei Paschi di Siena, la cui ricapitalizzazione durante la scorsa estate era talmente urgente da non consentire un rinvio brevissimo, sappiamo poco e niente: il Tesoro dovrebbe partecipare per 8 miliardi, ma tutto è fermo perché a livello europeo si chiede di procedere subito alla dismissione dei crediti deteriorati, un macigno da circa 30 miliardi di euro in cui si celano operazioni andate a male che vanno messe in una tomba inviolabile per l'eternità, come se si trattasse di scorie nucleari. Ma c'è anche un problema di valutazione di prezzo e di garanzie pubbliche: è roba da far saltare in aria mezza Italia.

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