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Tra Banche e Politica, il grande gelo

La crisi ha sconvolto gli equilibri di potere, finanziari e politici

Non si trattava, quindi, solo di remunerare i bond del Tesoro ad un tasso di interesse che non facesse apparire l'intervento pubblico come una sorta di regalo, né tantomeno di rappresentarli come un intervento a fini di lucro quale sarebbe quello di un qualsiasi altro operatore economico. C'era un principio di libertà, nel senso che non obbliga alcuno ad accettare l'intervento dello Stato; c'era un principio di corrispettività, in termini di parità di trattamento rispetto ad ogni altro capitale impiegato a fini economici; ma c'era soprattutto un obiettivo sociale, perché si individuavano comportamenti e condizioni specifiche per l'intera conduzione bancaria.

Le banche italiane si guardarono bene dall'accettare l'aiuto statale, cui corrispondeva una maggiore trasparenza nel credito. E fu così che affrontarono il collasso del debito pubblico nel biennio 2011-2012 e la seconda recessione che seguì alle manovre fiscali, fatte di tasse e tagli, impostate senza tregua. Addirittura, si sono arricchite alle spalle della collettività: nel decreto Salva Italia, emanato dal governo Monti, lo Stato offriva la propria garanzia “sovrana” alle banche che emettevano obbligazioni. Insomma, stava per fallire, ma poteva offrire garanzie alle banche: il solito trucchetto.

Queste obbligazioni bancarie, infatti, potevano poi essere consegnate alla BCE come collaterale per ottenere liquidità nell'ambito dei programmi LTRO. La liquidità sarebbe stata utilizzata per sottoscrivere i titoli del debito pubblico italiano. Il sistema era tale per cui lo Stato pagava interessi del 6/7% sui titoli di debito, e poi ne incassava l'1% dalle banche per la garanzia concessa sulle loro obbligazioni. Le banche, che avevano preso la liquidità dalla BCE all'1%, facevano una cresta del 4/5% sui titoli di Stato. E' stata una pacchia che ha messo al sicuro i bilanci bancari per anni, finché la BCE ha cambiato strategia comprando direttamente i titoli pubblici sul mercato ed abbassando nettamente il loro rendimento.

Per le banche italiane, un tracollo: non erano più gli interessi sul debito pubblico a coprire i buchi dei loro bilanci, gravati dalla crisi.

Siamo in una situazione difficilissima: le banche non vogliono rinunciare ai crediti fittizi verso imprese e famiglie, e li tengono ancora in bilancio sperando, o sognando, non si sa che cosa. Non vogliono svendere ai Fondi avvoltoio ed agli altri operatori specializzati, che pagherebbero molto meno di quanto già svalutato, creando nuovi buchi nel conto economico.

Nel frattempo, le nostre banche diventano di proprietà di Fondi stranieri, che dirottano gli impieghi su investimenti diversi dal credito all'interno, mentre i risparmiatori italiani si tengono liquidi, disertano le obbligazioni bancarie, e sottoscrivono offerte di Fondi spesso stranieri e che investono all'estero.

I vecchi equilibri di potere sono saltati, la raccolta del risparmio si dirige verso impieghi diversi dall'investimento nell'economia reale. Il sistema politico non ha più alcun potere, mentre la rete di relazioni personali, economiche e finanziarie che aveva gestito l'economia italiana a partire dagli anni Novanta è evaporata.

Le Banche non possono più aiutare la Politica, anche quando si tratta di interventi di interesse generale e non di favori personali. La crisi massacra l'economia, ma i banchieri ormai hanno altre priorità.

La Politica non può più aiutare le Banche, viste le nuove discipline europee, che sono state adottate dopo che tutti tranne l'Italia hanno sistemato le proprie banche.

La crisi ha sconvolto gli equilibri di potere: in Italia, tra Banche e Politica, c'è un grande gelo.

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