Facebook Pixel
Milano 18-mar
33.940,96 0,00%
Nasdaq 18-mar
17.985,01 +0,99%
Dow Jones 18-mar
38.790,43 +0,20%
Londra 18-mar
7.722,55 -0,06%
Francoforte 18-mar
17.932,68 -0,02%

Criptovalute, fuga dalla realtà

Aumentano di valore, pur senza essere impiegate: un sogno.

Le criptovalute sono il nuovo prodotto di moda, con guadagni sul loro valore che vanno oltre il raddoppio in poco tempo. Chi le avesse comprate al loro debutto, partecipando all'ICO (Initial Coin Offer), avrebbe moltiplicato anche per quattro volte l’esborso iniziale: è un gioco vecchio come il mondo, quello di inventare prodotti finanziari sempre nuovi, per i quali si ipotizzano ritorni stratosferici.

Accadde in passato con i bulbi olandesi, poi in America con i terreni edificabili in Florida, ed ancora più di recente con le azioni delle Dot.com: in tanti si erano illusi di essere diventati ricchi per sempre. La bramosia di arricchirsi, usando il denaro per averne sempre di più, ha bisogno di essere vellicata da un aumento continuo del valore di un asset, quale che esso sia: si entra così in uno stato di ebbrezza generalizzata, che rende frizzanti i mercati.

Il fenomeno della asset inflation, seguita da crisi devastanti, è arcinoto: ne fecero le spese anche i Giapponesi, che reimpiegavano in casa loro il surplus commerciale comprando immobili, fino al punto che il valore di quelli di Tokio equivalevano a quelli dell’intera California, e quelli del Giappone a quelli di tutti gli Usa. Anche le azioni salirono, con il Nikkei che arrivò ad un valore del tutto ingiustificato rispetto ai dividendi delle aziende quotate: era la liquidità dsa reinvestire che aveva creato la bolla. Dopo il crollo della Borsa di Tokio, il surplus è stato reinvestito soprattutto in titoli di Stato americani: renderanno poco, ma almeno sono dollari. Una moneta accettata da tutti, con un valore sostanzialmente stabile.

La situazione, dopo la crisi è cambiata, ed anche stavolta ci sono tutte le condizioni per una nuova bolla.

C’è un primo motivo, soprattutto in America: i corsi azionari di Wall Street hanno nuovamente raggiunto i massimi storici, e c’è il timore di una correzione, soprattutto se dovessero essere aumentati i tassi ufficiali della Fed. Molti si sono indebitati per acquistare titoli, anche le stesse aziende quotate, ma prendendo il denaro a tassi tendenti allo zero: con questi costi ridotti, il guadagno è assicurato. Ma se il denaro dovesse diventare più caro, i profitti delle imprese scenderebbero ed i loro valori borsistici ne risentirebbero. Servono impieghi alternativi.

La seconda ragione deriva dalla grande liquidità immessa dalle banche centrali: se la Fed ha concluso già da tempo il terzo Qe, la Bce continua ancora al ritmo di 60 miliardi di euro mensili, così come la Banca del Giappone che ha l’obiettivo di mantenere a zero il tasso dei titoli di Stato a dieci anni.

C’è una terza ragione: servono nuovi asset. Il diluvio di liquidità immesso dalla Banche centrali non affluisce alle economia reale attraverso il canale bancario, perché i vincoli posti in termini di rapporto tra capitale e credito si è fatto molto più stringente. La stabilità finanziaria impone prudenza, ed eventuali perdite devono essere coperta con i mezzi propri delle banche e non con il sostegno pubblico. D’altra parte, se quella del 2008 fu una crisi finanziaria innescata dall'iperindebitamento delle famiglie americane, con mutui insostenibili, spese personali finanziate con le carte di credito revolving, ed auto prese a leasing con il finanziamento al 100%, sarebbe imprudente riaprire questa corrida.

Visto i rapporti tra prezzi delle azioni e dividendi sono tornati a livelli elevati, che il rubinetto del credito bancario ai privati è stato serrato, e che gli Stati si sono messi a stecchetto con l’obiettivo di avere un bilancio in pareggio, mancano occasioni di impiego della liquidità con rendimenti elevati. Non allettano neppure le obbligazioni, pubbliche o private che siano, perché rendono poco o addirittura hanno tassi negativi a causa degli acquisti fatti dalle banche centrali. Anche speculare sulle materie prime non sembra conveniente, perché la domanda globale non giustifica un rialzi dei loro prezzi; tanto meno si giustificano gli investimenti nell’economia reale, afflitta da un cronico esubero della capacità produttiva già esistente a fronte di una domanda finale dei consumatori che è debole per via dei salari tenuti bassi per battere la concorenza. Non si parli, poi, di fare scommesse con i derivati, o con i CDO: c’è il pericolo che la controparte, che ha assicurato il rischio, alla fine non paghi. Anche l’inniovazione finanziaria dei primi anni duemila sembra definitivamente archiviata: sono prodotti invendibili.

Ecco, allora che nascono le criptovalute, le monete virtuali private: si offre una nuova categoria di investimento, svincolata dalle decisioni delle Banche centrali e dei governi, che fanno fluttuare il valore delle monete ufficiali, svalutandole per favorire la competitività delle loro economia. Si assorbe il denaro ufficiale, instabile, offrendo in cambio denaro privato che aumenta di valore in quanto ha una offerta stabile, come il numero delle azioni di una società di capitali.

La moneta, si sa, è un ponte tra il presente ed il futuro, e viene richiesta quando ha un valore stabile nel tempo. Tanto più c’è la prospettiva che aumenti di valore nel tempo, tanto più viene richiesta: è una profezia che si autoavvera, sul mercato e nel mercato, senza bisogno.

Siamo arrivati al paradosso: mentre la detenzione di moneta ufficiale presso il sistema bancario è penalizzata per i bassissimi rendimenti ed i costi della tenuta dei conti di deposito, ed addirittura la Bce preleva lo 0,40% annuo sui depositi bancari ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria, le monete virtuali private promettono un aumento di valore senza dover essere impiegate. Non sono affidate ad un operatore bancario o finanziario che promette interessi esercitando il credito ovvero impiegandola in investimenti, quali che siano.

Le monete virtuali private aumenterebbero di valore anche perché la continua immissione di moneta ufficiale ne produce la svalutazione. Al fenomeno della asset inflazion, determinato dalle politiche delle Banche centrali, corrisponde una speculare svalutazione della moneta immessa: non è il valore delle azioni o degli asset a crescere, ma quello della moneta usata per acquistarli, e che ne misura il valore, a diminuire.

Si abbandonano le monete virtuali ufficiali, che non hanno più da tempo una base aurea ma solo un valore determinato dalla fiducia di chi le utilizza, e si immettono sul mercato le monete private virtuali, offredo la speranza di vederne aumentare il valore sul mercato, senza doverle impiegare in alcun modo. Criptovalute, fuga definitiva dalla realtà.
Altri Editoriali
```