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Job Act, Tax Act, Debt Act?

Se il titolo si chiudesse con un punto esclamativo potrebbe sembrare una sorta di formula esoterica...

Se il titolo si chiudesse con un punto esclamativo potrebbe sembrare una sorta di formula esoterica evocata da un antico mago dai lunghi capelli bianchi in grado di sconfiggere una malefica crisi che sembra stia soffocando la speranza, la lucidità e la critica costruttiva. Purtroppo è il punto di domanda interrogativo finale che sembra limitare le speranze di quanti pensavano che uno spirito creativo potesse animare le élites mettendole in condizione di affrontare l’avverso destino con la creatività necessaria per capire i nuovi problemi che la storia ci sta mettendo davanti.

Se non si capisce la natura dei problemi che sono di tipo antropologico e non solo tecnico diventa difficile e forse impossibile risolverli solo con enunciati verbali smentiti dai fatti; eppure è evidente che più ci si occupa solo dell’economia più questa continua a peggiorare. Il senso del titolo sta nel creare lavoro, nel creare tasse e nel creare debito, ora mentre i dati numerici dicono che si riesce a creare debito e tasse sembra più difficile creare il lavoro.

Di per sé ogni singola azione se presa da sola può avere un senso, si può aumentare il debito pubblico per generare investimenti e sostegno alla domanda come fece Roosevelt sotto la guida sapiente di Keynes durante la grande depressione e come fece HjalmartShacht nella Germania di Weimar sconfiggendo un’iperinflazione – cento miliardi di marchi non bastavano per un tozzo di pane –, ma se si è portato il debito ad un tetto non sostenibile evidentemente una sua politica di espansione diventa difficile.

Si possono aumentare le tasse per ridurre la disuguaglianza e per dare allo stato un sostegno allo sviluppo ma oltre un certo livello, come quello attuale, l’innalzamento delle tasse riduce le entrate, fa collassare la tenuta sociale del sistema ed aumenta la criticità di un sistema contabile rimasto ad una strutturazione borbonica che guarda le virgole e perde di vista il tutto.

Si può aumentare l’occupazione se si lavora sulla domanda interna e si creano sostegni per gli investimenti ma se si penalizza la struttura produttiva di un paese come il nostro basato su un tessuto di piccole e medie imprese con normative giuridiche, ossessive e disancorate dalla realtà quotidiana, con una tassazione soffocante e parcellizzata non si va da nessuna parte e le cifre sono lì davanti agli occhi di tutti a dare evidenza che le politiche di rientro dalla crisi non funzionano.

Il tutto è reso più complicato da un disarmonico patto di stabilità che va contro la storia del paese, si continua a denunciare la sua "stupidità" ma poi si continua a tenere la stessa rotta. I problemi di fondo non vengono mai affrontati a partire da un sistema di controllo che non funziona né dal punto di vista contabile né morale per ridurre il "moral hazard"; così per ogni nuovo problema si fa una nuova legge, si inasprisce la precedente o si fa un nuovo organo di controllo che non si parla e non si confronta con gli altri e finiamo in una trappola mortale.

Il tema di fondo del lavoro va affrontato in modo selettivo a seconda anche delle aree territoriali, non serve semplificare i rapporti contrattuali se non si crea domanda e canali di sbocco per i consumi interni ed esterni. E’ ingiusto ed immorale non intervenire sulla tassazione delle grandi corporation che pagano le tasse dove vogliono perché in questo modo si separa il capitale dal lavoro rendendo questo ostaggio del primo. La Spagna che si sta riprendendo più velocemente di noi ha imposto una tassa sulla delocalizzazione per rendere partecipi tutti alla ricostruzione morale della società e del suo bene comune.

Si può essere alleati fedeli dell’Europa ma è del tutto evidente che le sanzioni alla Russia stanno mettendo molte aziende in ginocchio ed evidentemente le rendono poco interessate al job act; se i costi sembrano essere superiori ai benefici forse qualche domanda varrebbe la pena farsela visto che il problema è già sull'agenda della UE.
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