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Estremi rimedi

I tassi negativi, opportunità e rischi


Se il 3 per cento negativo può sembrare aggressivo, la Taylor rule va oltre. Proposta nel 1992 da John Taylor di Stanford, la regola incontrò subito grande favore per la sua semplicità ed efficacia. Partendo dall'inflazione effettiva e desiderata da una parte e dalla disoccupazione effettiva rispetto al massimo impiego potenziale non inflazionistico dall'altra, l'equazione produceva il tasso d'interesse ottimale. Molto seguita anche dalla Fed fino alla Grande Recessione, la regola rivelò i suoi limiti in un mondo dove la curva di Phillips aveva cessato di funzionare e perse centralità. In ogni caso, per chi la ricorda e ne ha nostalgia, la regola indicherebbe per oggi, per chi l'ha ricalcolata, tassi tra -8 e -16.

Dopo il 2008 i tassi negativi hanno avuto alterne fortune nel dibattito accademico e tra i policy maker. Per alcuni anni hanno figurato tra le misure monetarie da tenere pronte nel caso di una nuova recessione, insieme o in alternativa al Quantitave easing. Si è anche calcolata l'equivalenza tra tassi e Qe e si è visto che un trilione di Qe, tanto in Europa quanto in America, ha sull'economia effetti grosso modo simili a quelli di un taglio dei tassi di un punto percentuale.

Nella seconda parte del decennio scorso i tassi negativi hanno perso popolarità in Europa, dove erano e sono comunque praticati, mentre la Fed, constatata l'opposizione delle banche e del Congresso, ha preferito concentrarsi su varie forme di Qe. Con la crisi Covid, per due lunghi mesi nessuno ha ipotizzato o invocato i tassi negativi come possibile misura anticiclica e ci si è invece concentrati sul Qe classico e sulla politica fiscale.

Giunti a questo punto, tuttavia, con il prolungarsi delle misure di confinamento, con l'allargarsi dell'epidemia al mondo intero e con il rischio imminente, nei paesi che riaprono, di una ripresa dei contagi, di un ritorno al lockdown e di un'ondata di fallimenti, i tassi negativi appaiono sotto una nuova luce. A questa riconsiderazione contribuiscono la fine del recupero azionario e il deteriorarsi del quadro macro oltre le previsioni.

Il fatto che le banche centrali abbiano finora dichiarato di non pensare per il momento a tassi sotto zero vuol dire solo che sperano che non occorrano. Chi investe, tuttavia, farà bene a considerarli come assolutamente possibili. Dopo la pioggia di trilioni fiscali e di Qe delle scorse settimane, c'è infatti una certa assuefazione del mercato da una parte e una certa stanchezza tra i policy maker dall'altra. In America non si escludono altre misure, ma il clima bipartisan in Congresso si sta deteriorando, mentre la Fed ha paura di apparire troppo generosa nei confronti dei mercati, della finanza e dei ricchi. Quanto all'Europa, il modesto Recovery Fund, partito da un trilione e mezzo, sembra essere sceso a un trilione, mentre sulla Bce alita sul collo la Corte costituzionale tedesca.

I tassi negativi, a differenza del Qe, potrebbero essere presentati come penalizzanti per le banche, per i rentier e per i ricchi in generale, mentre permetterebbero a chi ha un mutuo di rinegoziarlo a condizioni vantaggiose. Sarebbero una patrimoniale per chi sta ancora bene e una benedizione per chi è indebitato. Sarebbero politicamente spendibili.
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