Nell'arco di pochi mesi siamo passati dalla percezione della forza straordinaria di un ciclo economico drogato per due anni in tutti i modi possibili all'idea di una
recessione globale imminente, se non già presente.
I mercati finanziari, dal canto loro,
sono passati dall'idea di un'inflazione inconcepibile (2020) a quella di un'inflazione transitoria (2021), per poi approdare, in questa prima metà di 2022, all'idea di una
stagflazione simile a quella degli anni Settanta cui solo una drastica cura di restrizione monetaria e di recessione potrà porre termine.
Le
borse, che si erano convinte di essere l'unico investimento possibile in un mondo di tassi reali permanentemente negativi e che pensavano di essere inarrestabili, grazie a un inesauribile esercito di compratori pronti ad approfittare di ogni debolezza, hanno scoperto di essere
vulnerabili.
Questa vulnerabilità è stata inizialmente percepita esclusivamente sul fronte dei multipli e ha portato ad attacchi concentrati su chi questi multipli li aveva espansi di più, ovvero la tecnologia. Recentemente la sensazione di vulnerabilità si è allargata ai profitti e ha coinvolto settori che erano sembrati inizialmente al riparo dai problemi come il largo consumo e la grande distribuzione.
Solo i titoli legati alle energie fossili hanno tenuto bene o si sono addirittura apprezzati insieme a un certo numero di società a bassa capitalizzazione e bassi multipli che erano state trascurate, per il loro essere in settori tradizionali, durante il grande rialzo.
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