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Bagno di realtà

Non Goldilocks, ma boom inflazionistico


Si pensava che il fabbisogno pubblico del Tesoro americano (un trilione e mezzo da finanziare ogni anno) avrebbe trovato sempre e comunque entusiasti compratori di bond e che i giapponesi avrebbero continuato a sottoscrivere i JGB dopo avere ascoltato dalle autorità monetarie la promessa di rendimenti reali negativi del 2-3 per cento per molti anni a venire. Salvo poi accorgersi che qualcuno cominciava a cercare alternative, dal bitcoin all'oro.

Certo, allo stimolo della domanda si è affiancato uno stimolo all'offerta. La produzione di combustibili fossili è stata riabilitata e rilanciata (petrolio in America, carbone in Germania, India e Cina, gas dappertutto) e si sono spalancate le porte all'immigrazione. Si è però dimenticato che i 10mila immigrati che arrivano ogni giorno negli Stati Uniti hanno bisogno di una casa e che in questo contesto è difficile che gli affitti (come invece ancora molti sostengono) scendano nei prossimi mesi dando il contributo finale per avvicinare l'inflazione al 2 per cento.

Insomma, la riscoperta dell'inflazione da parte dei mercati non è dovuta al fatto che il mondo è improvvisamente diventato più brutto, ma all'insostenibilità di una narrazione a tinte rosa che raccontava un mondo che non c'era. L'inflazione, in America, ha smesso di scendere nove mesi fa, ma i mercati, ipnotizzati dall'inflazione anno su anno e ignari dell'inflazione corrente annualizzata, continuavano a ipotizzare un trend discendente inarrestabile.

Il risveglio non è però così traumatico. Invece della tiepida Goldilocks del soft landing abbiamo a che fare con un boom inflazionistico a tinte vivaci. C'è inflazione (in America, più o meno, al 3.5 per cento) ma è sbagliato dire che è fuori controllo. È anzi un'inflazione che, vista da governi e banche centrali, è benvenuta perché sgonfia lo stock di debito rispetto al Pil, che altrimenti si avvierebbe verso traiettorie insostenibili. Per il momento è anche un'inflazione non pericolosa, perché il costo del lavoro, rapportato alla produttività, è anch'esso compatibile, come nota Jason Furman, con un'inflazione complessiva del 3.5, non di più.
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