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Pistole sul tavolo

La nuova diplomazia muscolare


Con la Cina, di pistole sul tavolo ce n'è ormai un'intera collezione. Si è partiti dai dazi già in vigore dall'anno scorso, di recente alzati, e ci si prepara a estenderli su tutte le importazioni dalla Cina a dosi, probabilmente del 5 per cento alla volta. Sono dosi piccole ma, come ama ripetere Trump a ogni occasione, il loro limite è il cielo. E alle pistole si sono aggiunti pezzi di artiglieria pesante come il boicottaggio globale di Huawei, gioiello del 5G e punta di lancia dell'industria militare cinese.

La novità degli ultimi giorni è che anche la Cina sta disponendo sul tavolo un campionario delle sue armi. Si è molto parlato delle terre rare, su cui la Cina si è costruita con tenacia un semimonopolio globale nell'estrazione e nella trasformazione. Il ventilato divieto all'esportazione di questi minerali creerebbe nel resto del mondo serie difficoltà per molte industrie. Si tratterebbe però di difficoltà temporanee, perché le terre rare così rare non sono.

In realtà, la vera arma che la Cina sta mettendo sul tavolo è la mobilitazione ideologica interna e il ricorso a formulazioni sempre più impegnative per definire il conflitto in corso. Nella cultura politica cinese le parole hanno un peso preciso e non vengono mai usate a caso o inflazionate. Parlare di guerra di popolo (come si è cominciato a fare) per presentare il conflitto con l'America è pesantissimo, perché evoca la guerra antigiapponese e il prezzo di sangue che la Cina ha dovuto pagare per riguadagnare la sua indipendenza.
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