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Il decollo dei tassi

Per ora non fa paura, ma fino a quando?


Il problema dei ruggiti del topolino da parte delle banche centrali è che ne basteranno pochi, questa volta, per avere lo stesso effetto che i ruggiti del leone avevano nei tempi andati. La continua discesa del tasso neutrale, ovvero del tasso d'interesse che non fa né da stimolo né da freno dell'economia, fa sì che già nel 2023 i mercati potrebbero iniziare a preoccuparsi per la combinazione tossica di inflazione che rimane alta, crescita che perde velocità e tassi più alti e quindi sempre più a rischio di superare il livello del tasso neutrale e provocando una recessione.

E qui entriamo nel secondo punto di dibattito, quello sulla vita residua di questo ciclo espansivo. Qualcuno, mettendo insieme l'inversione della curva dei rendimenti già l'anno prossimo e l'esaurimento dell'output gap entro la fine del 2022, ipotizza la fine di questo ciclo dalla vita intensa ma breve come quella di una farfalla già nel 2023. Altri accarezzano invece l'idea di un atterraggio morbido accompagnato da un raffreddamento dell'inflazione che potrà prolungare il ciclo fino al 2025 e forse oltre.

Le incognite sono molte, a partire dal Covid e dagli effetti che la pandemia (o la sua fine) produrranno sull'offerta e sulla domanda globale e quindi sull'inflazione. Alla pandemia si aggiungono le incognite della transizione energetica su cui si sovrappongono quelle geopolitiche, come è evidenziato in queste ore dai prezzi stratosferici raggiunti dal gas in Europa.

Quello che sappiamo è che il 2022, volatilità a parte, dovrebbe avere, grazie all'atteggiamento ancora benevolo delle banche centrali un profilo più costruttivo, per chi investe, rispetto agli anni successivi. Bisognerà cercare di usarlo per mettere ancora del fieno in cascina.

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