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Gradi di difficoltà

Medio il 2021, medio-alto il 2022, alto il 2023

Investire nel 2021, alla fine è stato un po' meno complicato di quello che si poteva immaginare, quantomeno per i portafogli standard, ovvero quelli mediamente diversificati che investono al 60 per cento in azioni e al 40 in bond (come in America) o quelli al 40 in azioni e al 60 in bond (come si usa in Europa). Certo, l'inflazione ha colpito duro, erodendo il potere d'acquisto del 7 per cento in America e del 5 in Europa, ma la performance della parte azionaria è stata in grado, da sola, di garantire all'insieme del portafoglio un risultato superiore all'inflazione. I bond, con le loro mini-cedole, non hanno dato un grande contributo, ma hanno almeno evitato, o quasi, di scendere di prezzo, come capitava invece in passato quando alla crescita dell'inflazione corrispondeva un rialzo dei rendimenti richiesti dal mercato.

Il 2021 dei mercati non ha nemmeno riservato emozioni particolarmente forti. Ci sono state imponenti rotazioni all'interno dell'azionario, ma il rialzo degli indici è stato piuttosto regolare. Non ci sono stati momenti di grande paura e le sorprese negative, prima fra tutte l'inflazione, sono state assorbite bene. Le politiche monetarie e fiscali aggressivamente espansive e i vaccini hanno dato al mercato la sensazione di avere sotto di sé una robusta rete di protezione.

Il 2022, dal canto suo, si prospetta come un anno caratterizzato da due fattori. Il primo, positivo, è la spinta inerziale delle forze che hanno sostenuto fin qui la ripresa (politiche monetarie e fiscali in primo luogo). Il secondo, potenzialmente negativo, è il graduale attenuarsi di queste spinte nel corso dell'anno e l'avvicinarsi di un momento, dal 2023 in avanti, in cui la normalizzazione monetaria e fiscale, unita all'esaurirsi delle risorse inutilizzate (l'output gap) comincerà a spingere il mercato a porsi la domanda che accompagna (e a volte tormenta) tradizionalmente la seconda metà dei cicli espansivi: l'atterraggio sarà morbido o duro?
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