La recente polemica sulla difficoltà di trovare manodopera stagionale nel settore del turismo e della ristorazione vede contrapporsi l'opinione di coloro che sostengono che i salari offerti sarebbero troppo bassi rispetto a quella di coloro che ritengono, al contrario, che il Reddito di cittadinanza è troppo generoso e rappresenta un disincentivo al lavoro.
Questa contrapposizione riporta al centro del dibattito la
questione salariale, che da troppi anni trascura sia il tema della
formazione professionale che quello della
produttività.
La posizione dei
sindacati è radicalmente cambiata nel corso dei decenni: negli anni sessanta, gli aumenti il
salario venivano rivendicati come variabile indipendente, negli anni settanta resistevano nella difesa della scala mobile che era considerata colpevole di alimentare l'inflazione con la rincorsa tra prezzi e salari; all'inizio degli anni novanta si sedettero al tavolo della concertazione per sottoscrivere gli accordi sulla moderazione salariale.
Da allora, in pratica
da trent'anni, il sistema produttivo italiano e la normativa sul lavoro si sono concentrati solo sul controllo della dinamica salariale intervenendo soprattutto sulla
flessibilità del lavoro, in particolare quello dei più giovani, usando la leva della precarizzazione del rapporto e la introduzione di forme atipiche di impiego rispetto al tradizionale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato: l'obiettivo è stato solo quello di ridurne comunque il costo al fine di migliorare la competitività delle imprese.
Se ogni imprenditore cerca correttamente di ottimizzare tutti i suoi costi di produzione, quello del lavoro è divenuto centrale nella dinamica economica italiana. Ma puntare solo sulla
riduzione dei salari ha significato, a livello macroeconomico,
ridurre la capacita di spesa complessiva delle famiglie e dunque anche i loro consumi.
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