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L'addio alla concertazione tra risanamento e realismo

Concertazione ed economia sociale: la prima tutta italiana, la seconda fondamentale in Germania.

Bisogna intendersi: concertazione ed economia sociale di mercato sono teorizzazioni diverse. La prima è una pratica neocorporativa, tutta italiana, in cui il circuito politico decisionale Governo-Parlamento viene raddoppiato da uno socio-economico con le rappresentanze datoriali e sindacali. La seconda è un raccordo tra capitale e lavoro, fondamentale in Germania, che trova nella cogestione delle imprese il suo fulcro.

La concertazione trilaterale italiana si pone a livello politico, tra Governo-Parlamento-forze sociali, e può coesistere con una teorizzazione conflittuale del rapporto tra capitale e lavoro all'interno delle aziende: si fonda, a partire dal '93, su una compatibilizzazione del costo del lavoro nell'ambito del processo di sviluppo, modificando la precedente impostazione estrema della sinistra secondo cui il salario rappresentava una sorta di variabile indipendente dell'economia. La concertazione non comporta, quindi, una corresponsabilizzazione del sindacato nella produzione che vada oltre una contrattazione economica in cui la crescita del salario sia compatibile con la stabilità della moneta e con l'accrescimento della produttività. Inoltre, come contropartita a questa moderazione salariale, il sindacato ha ottenuto l'accesso al tavolo delle decisioni politiche, in particolare a quelle che riguardano le politiche sociali, dall'istruzione alla sanità, dalla casa al welfare.

Il punto che di recente si contesta alla concertazione è l'accollo alle finanze pubbiche degli oneri eccessivi che derivano dalla garanzia dei diritti sociali. Sono spese incompatibili con gli equilibri di bilancio e con la riduzione del debito pubblico. La concertazione, quindi, sarebbe stata una pratica sociopolitica che avrebbe ostacolato il risanamento: per questo il Presidente del Consiglio Monti la ritiene nociva.
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