Dobbiamo a noi stessi una spiegazione: chiarirci perché anche alle prossime elezioni l'Italia si presenterà ancora una volta identica a sé stessa, invecchiata di venti anni. Come rimasti in frigorifero, non cambiano le facce, né i ruoli.
Il fatto è che il ricambio generazionale non manca solo in politica: tutto l'establishment italiano è vecchio. Da quello bancario a quello delle industriale, le facce che c'erano vent'anni fa sono le stesse che vediamo oggi, ed i pochi che si mettono di traverso vengono osteggiati. La sfida è sempre la stessa: se siete capaci, il potere ve lo dovete conquistare. Vale per tutti: da Renzi alla Meloni in politica, fino a Della Valle. Sole le famiglie imprenditoriali solide si possono permettere un passaggio di mano generazionale, naturalmente interno: vale per i De Benedetti, i Berlusconi, e naturalmente gli Agnelli.
Il tanto di nuovo e di vitale che è stato costruito in questi venti anni, la piccola e media impresa, non ha la visibilità mediatica né il potere contrattuale che corrisponde alla sua dimensione effettiva: è sottorappresentato. Invece, il vecchio modello produttivo fatto da poche grandi imprese pubbliche e private ha mantenuto il monopolio delle relazioni politiche, istituzionali e finanziarie.
La seconda Repubblica è stata una estenuante guerra di posizione, ventennale, per la conquista del potere: la maggioranza politica e parlamentare necessaria per governare e soprattutto per cambiare, per fare le riforme. Le riforme le fa chi governa, a suo uso e consumo: e, difatti, abbiamo avuto la modifica del Titolo V della Costituzione approvata con un solo voto di maggioranza sul finire del 2001, così come un federalismo fiscale che ha portato al raddoppio della tassazione e dei poteri amministrativi, anziché allo slittamento dell'imposizione dal centro alla periferia e la riduzione della dimensione statuale a vantaggio di quella locale. Si va avanti di pochi metri, poi si ripiega, come in una guerra di trincea.