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I viaggi della soia

Guerra dei dazi o guerra alla Cina?

Ma in questo contesto si può anche apprezzare quanto sia stato astuto da parte europea presentarsi alla Casa Bianca con la promessa di comprare molta soia americana (e molto gas) se Trump sospenderà il 10 per cento di dazio aggiuntivo sulle auto tedesche. Presentandosi con questi ramoscelli d'ulivo la Merkel, che ha rilevato dai falchi francesi della tecnocrazia di Bruxelles la conduzione politica del negoziato con gli Stati Uniti, fornisce a Trump la prova che l'Europa è pronta a discutere seriamente l'ipotesi di un taglio, non di un aumento, dei dazi sulle auto. Trump, dal canto suo, dopo avere sollevato questioni a non finire su tutto lo scacchiere internazionale, ha bisogno di portare a casa qualche successo o, quanto meno, di dimostrare che quando ha proposto in Quebec di abbassare tutti quante le barriere doganali, non stava producendosi in una semplice boutade.

Jean-Claude JunckerA questo punto, prima di proseguire il discorso generale, concludiamo quello sulla soia. I cinesi, come abbiamo visto, non la compreranno più dagli Stati Uniti ma dal Sudamerica. Gli europei, dal canto loro, non la compreranno più dal Sudamerica ma dagli Stati Uniti. Alla fine ci saranno delle navi che dovranno cambiare rotta, ma nessuno pagherà dazi sulla soia, nessun consumatore vedrà salire il prezzo del suo tofu, il commercio internazionale di soia rimarrà invariato e nessun produttore verrà penalizzato. La perfetta quadratura del cerchio.

I mercati hanno fatto bene a reagire con prudenza al buon esito dell'incontro tra Juncker e Trump. La doccia fredda seguita all'apparente disgelo tra Stati Uniti e Cina nei mesi scorsi è un ricordo ancora fresco e l'umoralità di Trump garantisce che ci sarà qualche incidente di percorso. Ma anche tra Trump e Kim Jong Un c'è stato un brusco raffreddamento poco prima di Singapore, ma la presenza di una forte volontà politica di portare a casa un risultato alla fine ha prevalso.

La reazione misurata dei mercati non toglie però importanza all'incontro, che ci pare al contrario molto significativo per due aspetti.

Il primo è che si può legittimamente lasciare aperta la porta alla speranza che tutte le questioni sollevate da Trump si risolvano alla fine in un fair trade che non lede il free trade e può perfino agevolarlo.

La seconda, meno incoraggiante, è che il conflitto si trasferirà sempre di più alla Cina, che nella testa di Trump (e di molti democratici americani) è il vero avversario strategico degli Stati Uniti.

La superpotenza imperiale americana non può permettersi di restare passiva di fronte a una Cina che sta comprandosi l'Asia, l'Africa, la Siberia e pezzi d'Europa e che ha l'ambizione di diventare leader nell'intelligenza artificiale, nello spazio, nella robotica e in tutti i settori industriali che sono la precondizione per diventare militarmente egemone su scala globale.
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