Anche nel caso del rapporto di cambio dell'euro,
ogni decisione politica spetta al Consiglio, su raccomandazione della Banca centrale europea. A quest'ultima, lo si ribadisce, spetta l'
obiettivo prioritario di mantenere la stabilità dei prezzi.
La politica commerciale americana è particolarmente attenta a chiudere gli squilibri strutturali e gravissimi che registra da anni. L'Amministrazione Trump non lesina pressioni in termini di dazi, minacciati ed adottati.
Qualsiasi azione, o anche un solo annuncio, della BCE finalizzata a
svalutare l'euro rispetto al dollaro rischia di aprire un conflitto pericolosissimo con gli Usa, inasprendo una campagna elettorale già assai complicata.
D'altra parte, da tempo si auspica un riequilibrio della crescita europea a favore delle dinamiche interne rispetto all'export: ma si metterebbe in discussione un paradigma storico a cui la Germania si è dovuta adeguare sin dopo la fine della Prima Guerra mondiale e che è divenuta coessenziale al suo sistema produttivo, visto che oltre
la metà del PIL tedesco è destinato all'export.
Se c'è una riforma strutturale che si dovrebbe imporre alla Germania è questa: cambiare nettamente il suo driver di crescita, abbandonando il mercantilismo. Ma è una sfida che nessuno in Europa intende lanciare: a mettere in riga la Germania ci riuscivano in passato solo gli Usa, imponendole la rivalutazione del marco rispetto al dollaro.
Non c'è dubbio che ora un
dollaro debole metta in difficoltà l'export tedesco, come pure quello italiano.
La
BCE, facendo spallucce su questa nuova situazione, ed avvertendo che la questione sarà "monitorata",
lascia che la questione sia decisa politicamente. Non può assolutamente aprire un conflitto con la Fed e con gli Usa cercando di indebolire l'euro: molte banche europee hanno bisogno di dollari e solo la Fed li può fornire a buon mercato, stampandoli alla bisogna.
La BCE non interviene, neppure sul cambio tra euro e dollaroLady Laga non fa La Supplente
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