Il mondo è ripartito senza aspettare l'Italia: il
Presidente dell'ENI Giuseppe Recchi è intervenuto il 15 aprile scorso su
Affari & Finanza con un articolo così intitolato, affermando tra l'altro: "Noi europei pesiamo per il 7% della popolazione mondiale, per il 25% dell'economia, per il 50% dei benefici sociali erogati dagli Stati. Il nostro welfare è stato tarato per una demografia molto diversa da quella oggi propria dei nostri Paesi e 20 milioni di disoccupati nell'eurozona hanno bisogno di tassi di crescita ben diversi per poter tornare presto ad avere un lavoro. Sono necessarie riforme profonde, per rendere sostenibili i nostri stati sociali...". Affermazioni forti, che invitano a riflettere.
Ci fermiamo alla asserita insostenibilità del modello di welfare europeo, che avrebbe tre difetti: troppo generoso rispetto a quanto avviene nel resto del mondo; tarato su tendenze demografiche e speranze di vita ben diverse da quelle attuali; eccessivamente costoso per il sistema economico. Forse è vero l'esatto contrario: la crisi finanziaria e gli squilibri globali dipendono dai difetti dei sistemi di welfare di Usa e Cina.
L'Italia e l'Europa continentale hanno mantenuto fermo un modello di stato sociale che risale ai postumi della
crisi del '29, che negli Usa fu affrontata da Roosvelt con il New Deal: spese pubbliche finanziate in disavanzo ed un minimo di protezione sociale, con la
Social Security. Ben più solido e sostanzioso fu il sistema inglese di protezione sociale, che avrebbe accompagnato i cittadini "dalla culla alla tomba", fortemente ridimensionato da Margaret Thatcher a partire dagli anni '80. Con il
Welfare State si addossarono strutturalmente al complesso delle imprese i costi economici dei sussidi volti a fronteggiare la disoccupazione temporanea nel passaggio da un impiego all'altro, e soprattutto la protezione del reddito nella vecchiaia.
I modelli di riferimento oggi sono sostanzialmente tre: quello
statunitense ed anglosassone, basato sulla finanziarizzazione del soddisfacimento dei bisogni sociali e di accesso ai consumi durevoli, con l'azzeramento della capacità di risparmio e l'assorbimento di quote crescenti del reddito per servire il debito familiare; quello
cinese, basato sull'accumulo di elevate quote di risparmio, che comporta bassi consumi ed il soddisfacimento diretto e personale dei bisogni; quello
europeo continentale, in cui il sistema pubblico eroga attraverso una redistribuzione fiscale senza lucro una mole rilevante di servizi collettivi e di protezioni sociali.