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La questione fondamentale

Tante domande, ma una sola è decisiva


Qual è la funzione di reazione dei policy maker?

Prima di affrontare questa domanda, proviamo a sgombrare il terreno da alcune questioni. La prima è che non è vero che stiamo raschiando il fondo del barile e che con i tassi già straordinariamente bassi, i bilanci delle banche centrali già stracarichi di titoli e le politiche fiscali già espansive non abbiamo più armi per combattere la prossima recessione. Non è vero perché in questi dieci anni non abbiamo usato nemmeno tutti gli strumenti elencati da Bernanke nel suo celebre discorso del 2002 (Deflation. Making Sure It Does Not Happen Here). Solo per fare qualche esempio, né la Fed né la Bce hanno fatto Quantitative easing azionari o immobiliari, né hanno comprato grandi quantità di bond esteri. I governi, dal canto loro, hanno oggi disavanzi fiscali che superano il 4 per cento solo negli Stati Uniti, mentre la Germania è addirittura in surplus. In più, oltre agli strumenti convenzionali e non convenzionali ormai entrati nell'uso, ce ne sono altri ancora più aggressivi allo studio. Ci riferiamo ad esempio al controllo completo della curva dei rendimenti, al finanziamento diretto di governi, imprese e individui da parte delle banche centrali o alle varie forme di helicopter money da una parte e di repressione finanziaria dall'altra.

La seconda è che, se si vuole davvero creare inflazione, si può. L'hanno fatto Zimbabwe e Venezuela ed è difficile pensare che il migliaio di PhD che popolano gli uffici studi delle maggiori banche centrali non riescano a produrre un millesimo di quello che hanno fatto senza sforzo a Caracas o a Harare.

Insomma, si può fare tutto, almeno in una prima fase. Il problema, dunque, non è che cosa si può fare, ma che cosa si vuole fare e in che fase della recessione si vuole agire. La funzione di reazione, appunto.

Trump vuole agire addirittura prima della recessione e soffocarla quando è ancora in mente Dei. Vuole i tassi a zero e il Qe quando le stime più aggiornate sul terzo trimestre danno il Pil americano ancora in crescita di un più che dignitoso 2.2 per cento. Ha una fretta terribile, Trump, è divorato dai giorni che passano e dai sondaggi difficili. Vuole nuovi massimi di borsa, crescita al 3 per cento e spazio per potere mettere i bastoni tra le ruote alla Cina e alla Germania senza doversi preoccupare delle ricadute sugli Stati Uniti. Sta studiando un taglio del cuneo fiscale e non si cura delle stime del Congressional Budget Office, che ha appena calcolato un disavanzo federale medio del 4.3 per cento da qui al 2029 a legislazione invariata (quando si sa già benissimo che, se la legislazione varierà nei prossimi anni, sarà per andare ben oltre il 4.3).
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