Quando Franklin Delano
Roosevelt divenne presidente degli Stati Uniti, la prima iniziativa che prese in politica internazionale fu il
riconoscimento dell'Unione Sovietica. Correva l'anno 1933, le ferite della Grande Depressione erano ancora fresche e l'industria e la finanza speravano che il disgelo diplomatico avrebbe aperto loro le porte del mercato russo, che in quel momento appariva in grande espansione grazie alla politica di industrializzazione forzata impostata dai piani quinquennali.
Roosevelt aveva una buona opinione dell'Unione Sovietica, in particolare del concetto di economia pianificata, e con il New Deal cercò di creare un
capitalismo con qualche tratto di socialismo (big government, tassazione fortemente progressiva, regolamentazione capillare dell'economia con priorità all'occupazione, sostegno ai sindacati). In cambio di queste attenzioni, l'Unione Sovietica prese impegni non certo gravosi, come la garanzia della libertà religiosa per gli americani in Russia e la limitazione del sostegno alle organizzazioni rivoluzionarie americane.
Il rapporto tra Roosevelt e Stalin fu molto buono durante la seconda guerra mondiale e c'è chi sostiene che, se Roosevelt non fosse mancato prematuramente nel 1945, sarebbe rimasto buono anche dopo. In realtà, come ha documentato Mary Glantz in un suo libro (FDR and the Soviet Union, 2005), proprio mentre Roosevelt e Stalin iniziavano a dialogare nella prima metà degli anni Trenta, il deep state americano remava contro e preparava il terreno per la
futura guerra fredda. Quando Truman divenne presidente, le posizioni antisovietiche prevalsero nettamente e divennero dottrina ufficiale nei decenni successivi.
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