Andrea Ferretti
Economista e giornalista economico, docente al Corso di "Gestione delle Imprese Familiari" presso l'Università di Verona; collabora con l'Università Parthenope di Napoli e Roma 3 sugli Accordi di Basilea.
Certo,
non è come nell'Agosto 2011 quando solo l'intervento della BCE riuscì ad impedire che la situazione andasse fuori controllo, tuttavia
anche questo Agosto qualche sorpresa ha voluto riservarcela. E la principale riguarda proprio la
madre di tutti i nostri problemi, ossia la crescita.
Purtroppo i dati relativi al
secondo trimestre 2014, pubblicati da
Istat ed
Eurostat ad Agosto, hanno confermato piuttosto crudamente che quella
luce in fondo al tunnel intravista già dai tempi di Letta o non c'era o comunque
si è spenta.
Più in particolare, per quanto ci riguarda, il
PIL del 2° trimestre è diminuito di un ulteriore 0,2% rispetto al trimestre precedente, riprendendo così una lunga sequenza di dati con il segno negativo interrotta solamente dal misero + 0,1% del 4° trim 2013. Il che, per altro, ci
conduce dritti dritti ad un
dato tendenziale negativo per il 2014 dello 0,3%, dato largamente
peggiore di qualsiasi previsione fin qui elaborata dai diversi organismi internazionali. Da non trascurare, tra l'altro, che questo dato sul
PIL appare ancora più preoccupante in quanto abbinato ad un mix di segnali recessivi quali una ulteriore contrazione della nostra produzione industriale, una sistematica riduzione dei consumi interni ed un livello di prezzi ormai non molto lontano dalla soglia della deflazione.
Ampliando poi lo sguardo all'
Area dell'Euro le cose non vanno molto meglio: i dati evidenziati ad Agosto da Eurostat (relativi sempre al 2° trimestre 2014) mostrano come
il problema di una crescita asfittica non sia solo italiano, ma paneuropeo. Infatti, persino la
Germania, fiaccata dalla debolezza dell'export verso i partners europei, non solo non riesce a fare da locomotiva, ma ha anche dovuto subire il
doppio calo del PIL (-0,2%) e degli ordini all'industria (- del 3,2%). Parallelamente
la Francia ha "fermato le macchine" (PIL fermo come nel 1° trimestre e produzione industriale -1%) con conseguente dimezzamento delle stime di crescita per il 2014 passate dall'1% ad un modesto e traballante 0,5%. Va da se che, con queste prospettive, la Francia non riuscirà mai a centrare gli obiettivi di rientro dal deficit con conseguente necessità di varare dolorosi interventi correttivi o di chiedere in sede europea, per la seconda volta, uno slittamento delle tempistiche prefissate (più probabile). Appena
migliori le notizie provenienti dalla
Penisola Iberica dove sia il Portogallo che la Spagna hanno mostrato una
crescita del PIL non certo dirompente, ma decisamente migliore rispetto agli altri partners europei (+0,6%), superati solamente dal Regno Unito con un + 0,8%. Ciò nonostante, forse, è ancora presto per gridare vittoria, come dimostrato anche dal recentissimo salvataggio (in buona parte pubblico) di uno dei maggiori gruppi bancari portoghesi, il Banco Espirito Santo, giunto al collasso finanziario.
A questo punto, sfumato dunque il sogno di poter uscire dalla crisi trainati da una robusta ripresa già in atto,
se non si vuole che il decennio 2007- 2017 passi alla storia come un
nuovo "decennio perduto", un
cambio di rotta diventa davvero
urgente. Si tratta, in sostanza, di passare al più presto ad una seconda fase caratterizzata dall'utilizzo di vincoli di bilancio più elastici in cambio di riforme strutturali da sottoporre anche ad un monitoraggio comunitario. Questo meccanismo, se da una parte potrebbe comprimere l'autonomia valutativa dei Paesi interessati, dall'altra potrebbe rivelarsi uno dei pochi sistemi in grado di spezzare quel circolo vizioso che ci perseguita da oltre sette anni.
Ed in questo scenario
la capacità di Renzi di sfruttare il delicato momento francese per rafforzare un fronte espansivo in grado di bilanciare la rigidità teutonica
avrà, già dagli incontri di Settembre,
un peso affatto trascurabile nell'evoluzione delle situazione economica finanziaria europea.
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