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76 / Un tranquillo luglio di paura

Un primo passo verso l'auspicato smantellamento dell'insano oligopolio del rating.

Se il mese di Giugno si è chiuso per l'Europa all'insegna di una grande incertezza derivante dalla nuova ondata di instabilità internazionale che ha sconvolto, oltre ai Paesi arabi, anche Paesi emergenti quali il Brasile e la Turchia, l'inizio di Luglio è stato caratterizzato dalla riacutizzazione di tutte quelle questioni, ancora irrisolte, legate ai Paesi in perdurante crisi.

Infatti, attualmente, la Grecia versa in una situazione definita dalla Troika eufemisticamente "incerta" con il Governo Samaras stretto nella morsa tra recessione e necessità di effettuare nuovi tagli alla spesa pubblica, mentre il Portogallo è nuovamente costretto a garantire rendimenti sui titoli a 10 anni oltre il tasso proibitivo del 7%. L'Irlanda, da parte sua, anche in conseguenza del grande sforzo effettuato sul fronte del risanamento dei conti pubblici, è caduta nuovamente in una preoccupante spirale recessiva, mentre la Spagna è ancora scossa dallo scandalo connesso ai fondi illeciti ottenuti dal Partito Popolare e dal premier Rajoy.
Il tutto in uno scenario caratterizzato da nuove tensioni derivanti dall'annunciata volontà della FED di ridurre gli stimoli alla finanza e dallo sgonfiamento del tanto enfatizzato "shopping around" giapponese.

Per quanto riguarda l'Italia, nonostante il nostro ritorno in bonis, nonostante il nostro avanzo primario e nonostante il recente giudizio piuttosto confortante espresso dal FMI, è calata puntuale la scure di S&P che ha ritenuto di declassare il nostro rating da BBB+ a BBB, oltretutto mantenendo un outlook negativo.

Data la delicatezza dello scenario complessivo, riterrei interessante prendere spunto proprio da quest'ultimo accadimento per fare un paio di considerazioni di carattere generale sul comparto del rating.

La prima considerazione è che le aspre critiche rivolte a posteriori nei confronti dei giudizi delle Tre Sorelle (Moody's, Standard and Poor e Fitch) appaiono sicuramente lecite e magari anche opportune, tuttavia rischiano di non produrre alcun risultato tangibile. Infatti, aprire un contenzioso sul contenuto delle valutazioni delle Agenzie vuol dire sfidarle sul loro terreno ed è piuttosto noto come un qualsiasi bravo analista di bilancio sia perfettamente in grado di individuare dieci buoni motivi per valutare positivamente una azienda e dieci ottime ragioni per valutare negativamente la medesima azienda. Né si può sperare di risolvere le palesi disfunzioni presenti nel comparto del rating affidandosi alle nuove norme, essenzialmente di carattere burocratico - amministrativo, di recente emesse a livello di Unione Europea. Anzi, a ben vedere, alcune di queste norme, quale quella che obbliga le Agenzie a variare i rating sovrani unsolicited (non richiesti) solo in tre date annuali prestabilite, destano notevoli perplessità in quanto sembrano in grado di generare spasmodiche attese e notevoli turbolenze sui mercati.

In realtà, per tentare davvero di razionalizzare il mercato dei rating e scardinare la potente lobby che lo controlla appare indispensabile puntare l'attenzione a monte, ossia su quei meccanismi che ne regolano il (mal)funzionamento. In quest'ottica, la prima cosa da fare è annacquare il giudizio emanato dalle tre Agenzie che deve perdere ogni connotato di sacralità ed inappellabilità per divenire, semplicemente, una delle opinioni espresse dai mercati. Per raggiungere questo risultato sarà necessario conferire maggiore dignità alle valutazioni provenienti dalle altre società di rating attualmente operanti sul mercato: l'utilizzo da parte della BCE nell'ambito delle proprie valutazioni dei rating emessi dalla canadese DBRS, il recente debutto sullo scenario europeo della cinese DAGONG, nonché il progetto di costituire una agenzia di rating di emanazione comunitaria costituiscono tutti un primo passo verso l'auspicato smantellamento dell'insano oligopolio del rating.

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