Mezzo secolo di
teoria del portafoglio, a partire dagli anni Cinquanta, ha inculcato in generazioni di
investitori l'idea-incubo che non è possibile battere gli indici nel medio periodo. Un quarto di secolo di finanza comportamentale ha rovesciato radicalmente il discorso, trasferendolo dall'oggetto (il portafoglio) al soggetto (l'investitore) e sostenendo che le pulsioni primarie dell'avidità e della paura travolgono regolarmente, nei momenti decisivi, le capacità analitiche, inducendo a vendere sui minimi e a comprare sui massimi. Con risultati, ovviamente, di gran lunga peggiori rispetto a quelli degli indici.
La teoria del portafoglio parte dall'ipotesi di un presente totalmente leggibile, di un futuro imprevedibile e di operatori umani perfettamente razionali che si muovono in questo strano mondo. La
finanza comportamentale parla di un mondo opaco (ma non necessariamente illeggibile) e di agenti dominati dall'emotività o da bizzarre superstizioni come quella del prezzo di carico. Nell'un caso l'antropologia dell'uomo-macchina transumano, nell'altro quella dell'umano-troppo-umano.
In entrambi i casi conclusioni frustranti. Con la teoria del portafoglio l'alternativa è tra una potenza di calcolo infinita che permetta di ripesare continuamente l'allocazione da una parte e la scelta passiva di un fondo indicizzato dall'altra. Con la finanza comportamentale bisogna passare dieci anni in Tibet a ritrovare un equilibrio interiore per poi reimmergersi comunque in un mondo agitato e popolato da greggi che inseguono pifferai improvvisati o senza scrupoli. Seguire la bussola del valore, come suggeriscono i meno scettici tra i comportamentisti, e andare controcorrente comprando quando tutti vendono e vendendo quando tutti comprano, è emotivamente faticosissimo e non è detto che funzioni sempre.
Fin qui la teoria, poi c'è l'empiria. La quale a volte riserva sorprese affascinanti, come la storia (rilanciata nei giorni scorsi da Reuters) di un fondo chiuso americano regolarmente quotato che da 80 anni ha sempre gli stessi titoli e ha reso nel tempo molto più dell'indice
S&P 500. Fondato nel 1935, il
Voya Corporate Leaders Trust Fund fu suddiviso in parti uguali nei trenta titoli che allora componevano il
Dow Jones. A differenza dell'indice, costantemente manipolato nel tempo con cancellazioni e sostituzioni discrezionali nel tentativo di migliorarlo, il fondo chiuso non ha mai cambiato portafoglio. Due delle trenta società sono nel frattempo fallite e alcune sono state acquisite. In questo caso il trust ha sostituito la società comprata con quella compratrice. Per il resto il trust si è limitato a reinvestire i dividendi comprando azioni delle società che li distribuivano.
(Nella foto: Highlander. L'ultimo immortale. Film. 1986)
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