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La svolta della Norvegia: il fondo sovrano in fuga dal petrolio. Come cambierà l'economia mondiale?

Un annuncio che ha colto tutti di sorpresa quello della Norges Bank, la banca centrale norvegese, che gestisce il fondo sovrano da 1.000 miliardi di dollari. L’istituto, infatti, ha dichiarato che intende uscire dal mercato petrolifero, vendendo le azioni delle compagnie in suo possesso entro la fine del prossimo anno.

In ballo numeri che fanno tremare: il fondo detiene, infatti, circa l’1,5% delle azioni emesse nel mondo, di cui circa 35 miliardi di dollari in società petrolifere, il 6% delle azioni totali possedute. Tra queste, una partecipazione da 5,5 miliardi in Shell, una da 3 miliardi in Exxon, da 2 in Chevron, BP e Total, da oltre 1 miliardo in Schlumberger e da 1 miliardi nell’italiana Eni.
Inutile nasconderlo, il segnale è potente poiché lo Statens Pensjonsfond, gestito proprio dall’istituto di credito nazionale, è il maggior fondo sovrano al mondo davanti a quelli di Emirati e Cina, con un portafoglio da quasi un trilione di dollari.

Cosa si nasconde dietro a questa mossa? Davvero la Norvegia non vuole più investire nel petrolio e convertire completamente la propria economia?

Ne abbiamo parlato con Lorenzo Colantoni, analista presso lo IAI (Istituto degli Studi Internazionali).

"Intanto bisogna ridimensionare la situazione. Non è che la Norvegia non investirà più nei combustili fossili, non dimentichiamo che la Norvegia resta il secondo produttore di idrocarburi in Europa dopo la Russia (se escludi la Russia è il primo e anche di tanto, non ci sono altri competitor), è più giusto dire che l'economia norvegese va nella direzione di una diversificazione riguardo al cambiamento climatico. Quello che è cambiato, infatti, è che il fondo sovrano norvegese che è un fondo da 1000 miliardi di dollari ha deciso di disinvestire i propri fondi investiti negli idrocarburi, probabilmente andranno non si sa su cosa, potrebbe essere vadano a finire nelle rinnovabili o nell' immobiliare, è ancora presto per dirlo.
Riguardo a quello che ci può essere dietro, io dico che è una decisione estremamente economica e trasparente prima che politica, semplicemente il paese vuole diversificare quella che è una delle fonti di maggior entrata per il paese, in questo senso la Norvegia è stato piuttosto intelligente da comportarsi in maniera differente rispetto al Regno Unito: investire in un fondo dedicato, gestendo in maniera abbastanza conservativa gli introiti del petrolio e questo fondo è stato per esempio uno dei motivi per i quali il governo attuale ha avuto un discreto successo alle elezioni perché è stato sfruttato per accompagnare il colpo subito dalla Norvegia a seguito del crollo del prezzo del petrolio.
E' una decisione economica perché si pensa che gli idrocarubri non siano più cosi redditizi, si pensa che non abbiano più quel ritorno sugli investimenti che potevano avere fino a qualche anno fa.
E' forse la più importante decisione di disinvestimento a dimostrazione dell'ormai presente transizione energetica che sta andando in un'altra direzione. Il fatto che un fondo che investe 1000 miliardi improvvisamente vada in quella direzione, non un fondo qualsiasi, ma il fondo del più grande produttore in Europa dopo la Russia, questo è un segnale importante anche del fatto che la Norvegia ( e questo forse potrebbe essere dato politico) ha paura dell'economia legata al petrolio.
Basta ricordare che in soli due anni quando il prezzo del petrolio è sceso sotto i 40 dollari al barile, la Norvegia ha perso 5mila positi lavoti e li ha recuperati proprio grazie all'uso di questo fondo. In questo senso ha fatto l'opposto di quanto fatto all'inizio dall'Arabia Saudita: invece di usare i fondi fino all'eccesso per cercare di preservare la propria presenza sul mercato degli idrocarburi e non pensare a una diversificazione dell'economia, fino a arrivare nel 2016 in cui l'Arabia Saudita, ha dovuto iniziare delle forte misure di austerity, la Norvegia al primo segnale ha diversificato.

Insomma, più che svolta green, mi pare di capire che la parola chiave qui è "diversificazione".

Io credo che nel grosso della transizione energetica, al momento ci sia tanto business e poco green ma in senso positivo. Quando si dice green si pensa all'economia green prima del 2010, in cui la scelta tra fossili e rinnoviailbi era una scelta etica quindi io scelgo le rinnovabili perché fanno bene al cambiamento climatico, non emettono, fanno bene alla salute,
Adesso non è più così, la scelta è soprattutto economica, io scelgo le rinnovavili perché sono quelle che mi danno più profitto. Non è un caso che la Norvegia ha fatto questo nel momento in cui le rinnovabili stanno esplodendo. tu pensa che ci sono stati dal 2010 al 2015 l'80 per cento della riduzione dei costi del solare, il che vuol dire in 5 anni che produrre energia con i pannelli solari fotovoltaici si è praticamente dimezzato. E anche l'eolico, 40 per cento in meno.

E' un segno di maturità della transizione energetica, la parte green è limitata perché dire green sembra una scelta come quella della Rockefeller Foundation's di disinvestire completamente nel petrolio. Ecco, il fondo sovrano è troppo importante per fare una scelta che sia soltanto politica o solo un segnale, è una scelta economica ed è questo a renderlo un segnale importante.

Quanto e come questa scelta può incidere fino a cambiare gli scenari futuri?

E' difficile quantificarlo, dire cosa cambierà. Sicuramente potrà avere effetti qualitativi interessanti. Il primo sugli altri fondi di investimento: di solito quando si tratta di fondi investimenti, il mondo finanziario si muove molto a fiducia e le rinnovabili hanno avuto questo in passato e anche ora un certo problema di fiducia negli investimenti: gli investimenti nelle rinnovabili sono sempre stati un po' più costosi, perché un po' più rischiosi , soprattutto si temeva che poichè la tecnologia non era conosciuta ci fosse un limite ai ritorni sugli investimenti, insomma il rischio di perderci un sacco di soldi soprattutto su delle tecnologie come quelle energetiche che vanno su una programmazione che, ora non più ma fino a qualche anno fa , era intorno ai 20-25 anni. Il fatto che un fondo cosi grande vada in direzione opposto a quella dei combustibili fossili vuol dire che c'è molto più spazio per le rinnovabili, poi fino a un certo punto perché non è che chi disinveste nei combustili fossili automaticamente investi nelle rinnovabili, però comunque è un segnale forte.

Il secondo segnale, ancora più forte che potrebbe cambiare le carte in tavola è quello relativo alle aziende private petrolifere. il problema con le aziende è che sono dei mastodonti che se avessero un Pil sarebbero più grandi della maggior parte di alcuni paesi dell'Africa subsahariana, parliamo di due/trecento miliardi di fatturato. Il problema è che però la diversificazione delle loro attività è ancora molto limitata. Nella maggior parte dei casi si tratta di un green wash, la classica pittata di verde invece di un cambiamento vero e proprio. La vera fonte di diversificazione per molte compagnie petrolifere è ancora il gas e sempre di idrocarburi si tratta. Considerando però che il fondo sovrano norvegese era in compagnie petrolifere molto grandi e importanti , il fatto che questo vada a disinvestire vuol dire che queste compagnie si ritrovano da un giorno all'altro senza centinaia di milioni di investimenti e questo crea molta più incertezza e meno fiducia.
Insomma gli mette fretta nel diversificare le proprie attività e individuare come e dove investire quel gigantesco possesso di fondi in una direzione che vada nella stessa direzione in cui sta andando l'economia globale, che è quello appunto della transizione energetica. Queste sono due motivazioni che possono funzionare a livello internazionale.

Poi c'è un terzo aspetto che riguarda strettamente la Norvegia. Una delle delusioni delle ultime elezioni, è stata la sconfitta dei verdi che hanno raccolto molto meno di quando ci si aspettava dunque non si è andati verso un fattore estremo di cambiamento con la messa la bando del petrolio che al momento in Norvegia è ancora impensabile, ma comunque si va verso una significativa riduzione.
Il fondo, infatti, è gestito sì dalla Banca centrale ma comunque dal governo quindi ha una gestione assolutamente politica, quindi questo vuol dire che il governo intende andare in quella direzione anche se non hanno la posizione estrema dei green. In un certo senso uno spiraglio verso la diversificazione norvegese potrebbe esserci.


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