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L'insano oligopolio del rating

Un meccanismo da rivisitare
In quest'ottica i recenti accadimenti sembrano evidenziare con chiarezza che questo "insano oligopolio" poteva forse sopravvivere in uno scenario caratterizzato da mercati meno sofisticati e suddivisi in comparti stagni, ma non certo nell'attuale sistema finanziario perennemente sotto stress, ad alto rischio sistemico e soprattutto dominato da pochi attori principali (banche di investimento, hedge fund, grandi gruppi bancari etc) in grado di muovere, anche in ottica speculativa, enormi masse di denaro. A meno di non trovarsi al cospetto di "giudici" (appunto le società di rating) di assoluta autorevolezza, dalla reputazione inattaccabile ed universalmente riconosciuta e, soprattutto, dotati di una autonomia totale ed indiscussa.

E, da questo punto di vista, si può affermare con tranquillità che tutto ciò che le società di rating potevano fare per incrinare la propria credibilità lo hanno fatto nel corso degli ultimi anni. Anche perché per minare la fiducia degli investitori non servono per forza prove ineluttabili di comportamenti censurabili: non siamo in tribunale, ma nella sfera dei mercati e questi ultimi non si muovono solo sulla base di prove, ma anche di sensazioni, previsioni, dubbi ed incertezze.

Se esiste il sospetto che le 3 sorelle non abbiano saputo o voluto vedere quello che stava succedendo alle banche USA, se esiste la diffusa convinzione che le stesse abbiano permesso, grazie al loro "sacro imprimatur", che i titoli "infetti" raggiungessero e contagiassero perfino i portafogli più degni di tutela (quelli delle vedove e degli orfani dicono gli anglosassoni), è necessario voltare pagina.

E se, soprattutto, gli allarmi dati "ad hoc", le strane tempistiche, i conflitti di interresse hanno fatto sorgere dubbi sulla reale indipendenza delle Agenzie dai propri azionisti tra i quali spiccano, come noto, gestori di enormi Fondi di investimento, società di investimenti con interessi in ogni comparto, public company attive, oltre che nella finanza, anche in settori strategici quale l'editoria, è evidente che il meccanismo debba essere rivisitato. Anche perchè, se si abbraccia la tesi di alcuni economisti che ritengono benefico per il mercato che questi ultimi soggetti seguano il loro istinto speculativo sfruttando al meglio le diverse situazioni per ottenere extra profitti, qualche piccola riserva sulla opportunità di affidarci "in toto" al perentorio giudizio delle 3 sorelle, da questi controllate, sorge assolutamente spontanea.

Il problema è che l'istituzione di un serio controllo sulle Agenzie - solo in parte affrontato da recenti direttive la cui reale efficacia è ancora tutta da dimostrare - diventa ogni giorno più urgente in quanto i prossimi periodi appaiono particolarmente delicati: qualora l'Europa non riuscisse a convincere i mercati di aver approntato meccanismi di intervento rapidi e condivisi a sostegno dei propri membri in difficoltà, la speculazione sistemica potrebbe, questa volta, puntare direttamente al "bersaglio grosso" (la Spagna? l'Italia?) con conseguenze difficilmente prevedibili.

E, francamente, in questa prospettiva, il solo pensare che le Signore del rating possano nuovamente "scorrazzare" impunemente per i mercati seminando lo scompiglio ed ostacolando qualsiasi tentativo di soluzione, come avvenuto nella fase critica della crisi ellenica, fa veramente venire i brividi.

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