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Dazi, Trump e Juncker annunciano la tregua. Ma Macron frena: "Servono gesti chiari"

Fmi e Bce plaudono all' intesa, intanto il presidente Usa annuncia l'inizio di "una nuova fase" nella relazione tra Stati Uniti e Unione europea

Arriva inaspettato quanto atteso l'annuncio che segna la tregua e, almeno per il momento, l'arresto di una potenziale guerra commerciale che si intravedeva all'orizzonte tra Usa e Unione Europea. Al termine dell'incontro con Jean Claude Juncker, Trump ha annunciato l'inizio di "una nuova fase" nella relazione tra Stati Uniti ed Ue durante la quale le parti si asterranno dall’introdurre nuovi dazi, dunque anche quelli tanto temuti del 25% sulle auto prodotte al di fuori dei confini Usa.Pericolo scampato, anche se in tanti parlano sì di tregua, ma rigorosamente armata. Un impegno siglato nei giorni scorsi per arrivare a "zero dazi, zero barriere e zero sussidi su prodotti industriali non automobilistici".

Nel frattempo la Ue tende la mano al presidente americano aumentando le importazioni di soia e quelle di gas naturale liquefatto per “diversificare” le proprie fonti di approvigionamento energetico.
Trump e Juncker hanno anche promesso di lavorare per risolvere la disputa legata ai dazi sull’acciaio e sull’alluminio europei, fatti scattare dagli Usa il primo giugno scorso con la scusante di volere proteggere la sicurezza nazionale della prima economia al mondo.
L’Ue può tirare un sospiro di sollievo, almeno per un po', con le borse che premiano l’accordo, e se l’Fmi parla di "benefici per l’economia mondiale" e la Bce di "buon segnale", ci pensa Parigi a frenare l'entusiasmo con il presidente Emmanuel Macron che si è detto contrario a un negoziato su un "vasto accordo commerciale" con gli Usa, in stile Ttip, e fissa la linea rossa.
"Servono gesti chiari, segnali di distensione su acciaio e alluminio sui quali sono state applicate dagli Stati Uniti tasse illegali", è la prima condizione posta dal capo dell’Eliseo per lanciare una discussione che, in ogni caso, non può avvenire "sotto minaccia".

Insomma, situazione in piena evoluzione. Per questo, proviamo a riassumere cosa è successo fin qui. E, soprattutto, quali sono i possibili scenari. Lo abbiamo chiesto all'economista Simone Romano, responsabile di ricerca per l’area di economia e finanza dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) , ricercatore e professore presso l’Università degli studi di Roma Tre.


Negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare della "guerra dei dazi" tra Usa ed Europa: possiamo riassumere cosa è successo e, soprattutto, cosa è cambiato?
Il commercio internazionale è stato uno dei traini della crescita globale dal secondo dopoguerra ai primi anni duemila. In tutti questi anni gli Stati Uniti d'America, lo stato più influente con l'economia più potente al mondo, si sono sempre battuti con forza in favore della liberalizzazione dei flussi commerciali. Ora quello stesso stato erge barriere tariffarie contro stati rivali (Cina) ma anche contro nazioni storicamente amiche (Canada). Questo è ciò che è cambiato e non è di certo un cambiamento che può passare inosservato date le sue implicazioni economiche e politiche.
Per essere più specifici, è accaduto che il presidente Trump è passato dalle parole ai fatti, attuando quelle politiche protezionistiche che tanto spazio avevano occupato nella sua campagna elettorale. Questo ha comportato l'introduzione nel corso di quest'anno di dazi ad valorem, tra cui un prelievo del 25% sull'acciaio e del 10% sull'alluminio che passano la frontiera per essere venduti sul mercato statunitense.
All'inizio di luglio questa guerra dei dazi ha vissuto un passo importante, con l’imposizione di tariffe su 818 prodotti importati dalla Cina per un valore di 34 miliardi di dollari. Ciò ha provocato la dura reazione della Cina che ha aumentato di 25 punti percentuali i dazi su alcuni prodotti importati dagli Stati Uniti. Con la situazione in evoluzione è difficile quantificare i reali effetti ma negli Usa si moltiplicano gli studi sui costi della politica commerciale protezionista e sul rischio che l’America perda 45 mila posti di lavoro. Cosa può accadere quando la prima economia del pianeta dichiara guerra commerciale alla seconda economia?
Il protezionismo rappresenta una risposta semplice e di breve periodo a una questione decisamente complessa come quella degli effetti redistribuivi connessi alla globalizzazione. Purtroppo questa risposta, come accade con quasi tutte le risposte semplici e banali che tanto vanno di moda oggi anche da questa parte dell'Oceano, ha effetti molto più articolati di quanto si pensi. Mi spiego meglio.
Misure protezioniste come quelli dei dazi dovrebbero servire, nel senso comune di chi le invoca, a proteggere un determinato settore produttivo nazionale, tutelando imprenditori e lavoratori di quel settore. L'esempio dato dalla nota e americanissima casa motociclistica Harley Davidson dimostra concretamente quanto questa visione sia decisamente semplicistica. Il valore azionario dell'azienda del Wisconsin, da gennaio ad oggi, è infatti sceso in maniera sensibile proprio a causa delle politiche protezionistiche volute da Trump. Ciò è dovuto anzitutto al fatto che i dazi innalzino sensibilmente il costo dell'acciaio, usato in modo intensivo nella produzione delle motociclette, implicando di conseguenza o una minore capacità di concorrere sui mercati mondiali o un minore profitto. In seconda battuta, dato che una misura protezionistica diminuisce le esportazioni dei paesi contro cui è rivolta provocandogli un danno economico, questi paesi molto probabilmente reagiranno. Così è accaduto con la Cina ma anche con l'Unione europea, nelle cui intenzioni c'è la volontà di rispondere ai dazi americani con tasse volte a colpire molte delle aziende simbolo del made in US, dalla Levi's alla Harley appunto. Così facendo, la Harley vedrebbe diminuire le sue esportazioni in Europa. I due effetti insieme hanno portato gli investitori a prevedere un futuro più cupo per la casa motociclistica sui mercati internazionali, favorendo la vendita delle sue azioni. A ciò va aggiunto che una guerra commerciale che coinvolge le prima tre economie mondiali (EU, USA e Cina) aumenterebbe l'incertezza e la paura sui mercati finanziari in un momento già reso delicato dall'incertezza geopolitica diffusa e dalla fine delle politiche monetarie accomodanti. Fermo restando la necessità di far fronte all'urgente problema redistribuivo connesso alla globalizzazione, quanto descritto fa capire quanto la strada del protezionismo possa rivelarsi non solo inefficace ma dannosa per tutti gli attori coinvolti.
Un altro aspetto centrale è il ruolo del WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio. Al recentissimo G20 di Buenos Aires si è parlato di un negoziato tripartito (Usa, Ue, Giappone) per riformarla. L’intenzione non sarebbe riscrivere il trattato da cima a fondo, ma chiarirne alcuni aspetti e di rafforzarne la funzione giurisdizionale nelle vertenze commerciali. Che futuro sarà per l'Organizzazione alla luce di quanto sta accadendo?
Il WTO, nella sua forma attuale, è già morto. Il giudizio è duro ma mira a sottolineare come da molti anni non si sia riusciti a trovare un accordo sulla riforma di molte norme, lasciando i negoziati in stallo. Il risultato, per capirci, è che molte delle norme e degli istituti che dovrebbero regolare il commercio internazionale, ormai dominato da giganti hi-tech, sono precedenti all'introduzione del primo smartphone o del primo tablet. Per questo così com'è il WTO non ha alcuna funzione e il recente comportamento degli stati supporta questa visione negativa. Tuttavia l'Istituzione ha avuto un ruolo strategico nella seconda parte del '900 e sarebbe davvero auspicabile che si riuscisse a trovare un accordo per aggiornare le norme e migliorare il processo di risoluzione delle controversie. Sinceramente non vedo in questo momento un consensus internazionale adatto ma magari proprio queste prime avvisaglie di guerra commerciale potrebbero fare da sprone agli stati membri.
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