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Il futuro dell'economia? Sempre più "white"

Nel 2016 è boom del risparmio energetico e anche il pil ringrazia


Una ricerca condotta proprio da Avvenia ha mostrato come nel 2016 la white economy ha catalizzato investimenti in tutto il mondo per 400 miliardi di dollari, più della generazione elettrica da fonti fossili e delle energie rinnovabili . Può darci qualche dato?

Da anni gli investimenti in energia rinnovabili hanno superato complessivamente quelli per la generazione elettrica o termica "tradizionale". Il 2014 ed il 2015 hanno fatto registrare un record per la "green economy", con palesi ed ingombranti complici come la decrescita del mercato petrolifero e la crisi del carbone. Di li, nonostante ci siano consistenti movimenti e trasferimenti delle risorse dal solare all’eolico, a testimonianza di un cambiamento anche delle tecnologie, il volume complessivo mondiale degli investimenti ha iniziato a calare. I grandi Paesi emergenti Asiatici, responsabili di aggressive politiche di "feed-in" e sostegno al settore, con lungimiranza hanno spostato la loro attenzione dall’incrementare la potenza installata alla dislocazione e successivo utilizzo di tale potenza.

Di recente la Cina ha addirittura innalzato pesantemente la tassazione di fonti non rinnovabili come il gas per usi industriali, costringendo le aziende a cercare, in Europa ed in Italia in particolare, soluzione per la generazione efficiente localizzata e per efficientare i processi, possibilmente migliorando i livelli e la qualità della produzione.

Anche i Paesi più ricchi del Nord Africa, alcuni dei quali dotati di consistenti di risorse energetiche, già promotori di investimenti in rinnovabili – si veda il caso del Marocco, e dell’Algeria più di recente – stanno spostando la loro attenzione, quella delle loro aziende che competono a pieno con l’economia Europea e Mediterranea, al tema dell’efficienza energetica "made in Italy".

Sotto al clamore delle notizie della "green economy", tale tendenza ha prodotto una forte crescita degli investimenti nella "white economy" che oggi fa registrare livelli record complessivi anche se fortemente differenziati per settore a seconda delle aree geografiche.

Addirittura, ciò che è più eclatante non è di per se il dato dei 400mld di dollari investiti, ma il risultato prodotto che racconta di un valore circa doppio, 800mld di dollari, di risparmi in energia negli ultimi 5 anni.

Oggi l’efficienza energetica è tema importante anche per la nuova rivoluzione industriale: interconnettere le aziende e le loro filiere interne al mercato, senza capire come le modifiche richieste ai loro comportamenti, in modo quindi automatico, influenzano lo stato di sistemi così complessi, rischia di rendere gli investimenti in tale direzione improduttivi o non collegabili a benefici garantiti o certificati. I principi che invece sono alla base dell’efficienza energetica, permettono di integrare al mondo connesso del futuro, conoscenza ed informazioni che possono produrre una valutazione di quali dinamiche favorire. Se ciò fosse colto, la "white economy" potrebbe divenire ancor più importante.
efficienza energetica

In che modo l'Efficienza energetica influenza il Pil?

Il primo effetto positivo, anche se mi permetto di definirlo banale, è legato alla riduzione dell’intensità energetica e quindi, a parità di produzione, produce una riduzione dei costi di approvvigionamento. Ogni punto percentuale in più in investimenti in efficienza energetica è in grado di ridurre di 2,4 mld di euro le importazioni di gas naturale e petrolio. Aspetto che si ripercuote anche sulle politiche di sicurezza energetica e nazionale.

Ma il vero effetto lo si deduce ponendosi il nuovo "giusto" quesito; nella fase di "coming-out" della green economy, le rinnovabili erano la risposta per chi si domandasse quale fosse l’energia più sostenibile da produrre, e ci si ricordava continuativamente che l’energia più pulita o quella più economica è quella che non usiamo.

Con la "White Economy" l’interrogativo cambia: quale è l’energia con il maggior valore? La risposta è esattamente quella che non usiamo, per fare qualcosa in più o meglio.

Studi di settore, più volte rilanciati anche dalla Confindustria Nazionale, riportano la possibilità di incidere per ben due punti percentuali sull’incremento del PIL. Oggi questo significherebbe portare quasi a zero il rapporto Deficit/PIL e soprattutto potrebbe rilanciare un’economia in contrazione producendo nuovi posti di lavoro con una maggiore qualifica e più alta professionalità.

Non solo, le aziende, in grado di proporre al mercato prodotti più efficienti, nella loro fase realizzativa ed anche per il consumatore, potrebbero aumentare i propri utili, mantenendo presidi territoriali ed occupazione, ed influenzare una ripresa dei consumi, a più lungo andare.
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