Settimana di sosta per il
petrolio, che
ha chiuso venerdì a 58,36 dollari al barile, con una variazione trascurabile rispetto alla settimana prima, consolidando i massimi da giugno 2015. A sostenere il prezzo del greggio al top degli ultimi due anni ha contribuito la
decisione dei membri OPEC e non OPEC di
estendere i tagli alla produzione a tutto il 2018, nella speranza di favorire un ribilanciamento del mercato.
Il
gas naturale ha messo a segno un corposo rimbalzo, riportando un incremento superiore al 5% a
3,061 dollari. Il prodotto energetico è stato favorito dalle previsioni di un
progressivo calo delle temperature sino a metà dicembre, che faranno aumentare la domanda per il riscaldamento, che hanno controbilanciato i deludenti dati sugli stoccaggi pubblicati dall'EIA.
Altra settimana difficile per il
grano, che chiude
in calo di quasi il 2% a 414,50 cent per bushel, risentendo della pressione delle vendite sul più vicino contratto di dicembre in scadenza. In generale, il frumento ha risentito anche dei deludenti dati delle vendite all'export pubblicati dall'USDA.
L'
oro chiude ancora un'ottava negativa, riportando un
decremento dello 0,84% a 1.278,8 dollari l'oncia. Il metallo prezioso ha risentito della perdita di appeal degli asset che non offrono rendimenti, a favore di attività più rischiose e redditizie, e con il
voto favorevole del Senato USA sulla maxi riforma fiscale di Donald Trump.
Il
rame ha chiuso
in ribasso del 2,67% a 3,07 dollari la libbra. Il metallo rosso è stato penalizzato dai dati dei PMI pubblicati il 1° dicembre, che hanno confermato un rallentamento dell'industria cinese ai minimi degli ultimi cinque mesi.