Altra settimana brillante per il
petrolio, che ha chiuso la sessione di venerdì a 52,24 dollari al barile,
con un guadagno superiore al 3,2% su base settimanale. A spingere le quotazioni del greggio hanno contribuito le tensioni geopolitiche
legate all'attacco missilistico degli USA in Siria. Questo driver però è subito scemato, dato che il
Paese mediorientale è anche uno dei più
piccoli produttori OPEC, mentre gli operatori sono tornati a scommettere sulla possibilità di estensione dei taglio OPEC al meeting di fine aprile. Nel frattempo, le scorte USA hanno aggiornato i record storici, salendo di quasi 1,6 milioni ed il report sui pozzi “attivi” monitorati da Baker Hughes ha evidenziato un aumento di 10 unità, evidenziando una crescita della produzione da Shale Oil per la dodicesima settimana consecutiva.
Stesso movimento per il
gas naturale, che ha guadagnato circa il 2,2% a 3,261 dollari per milione di BTU, nonostante la piccola correzione riportata venerdì in scia al greggio. A muovere il prezzo del gas hanno concorso ancora i
dati settimanali sugli storage pubblicati dall'EIA, che hanno evidenziato un
aumento inferiore alle attese di 2 BCF (il consensus era per un aumento di 7 BCF). Gli stock di gas continuano dunque a crescere a ritmi più lenti dello scorso anno, ma si confermano su
livelli record e superiori alla media degli ultimi 5 anni.
Settimana fiacca per il
grano, che vede scendere le quotazioni dello 0,59% a 424 cent per bushel. Il mercato ha espresso cautela in attesa che questo martedì venga pubblicato il report su
Domanda/Offerta del Dipartimento dell'Agricoltura statunitense. A giocare un ruolo negativo anche gli ampi
stock mondiali, che hanno controbilanciato l'indicazione positiva dell'
USDA sui quantitativi esportati (oltre 568 mila tonnellate nella settimana chiusa al 30 marzo).
Ottava positiva per l'
oro, che si è portato nella giornata di venerdì a
1.254,3 dollari l'oncia, evidenziando un incremento dello 0,56%. In realtà, il metallo giallo ha abbondantemente corretto dai
massimi raggiunti oltre 1.269 dollari,
dopo l'attacco missilistico degli USA in Siria, che ha rivalutato la natura di "
safe heaven" (bene rifugio) del prezioso. Alla fine hanno pesato i realizzi, in un mercato che beneficiava di quanto emerso dal Job Report statunitense, la creazione di meno posti di lavoro a marzo, e dai verbali della Fed, la tendenza a centellinare gli
aumenti dei tassi quest'anno.
L'oro difatti sconta una politica di aumenti progressivi e graduali dei tassi USA, puntualmente confermata dai verbali del
FOMC.
Il
rame ha chiuso una settimana un po' fiacca, cedendo lo 0,21% a 2,65 dollari la libbra, dopo l'incontro fra il Presidente USA Donald Trump e quello cinese
Xi Jinping. Il vertice si è concluso con un nulla di fatto nell'immediato sul commercio: gli USA hanno concesso alla
Cina cento giorni per patteggiare un nuovo accordo anche se sembra che Pechino abbia promesso di ridurre gli squilibri che stanno condizionando l'
economia mondiale e l'inflazione.